Messinese, con Marvin ha in comune i tentacoli, la passione per l’acqua di mare e la fame perenne di storie. Convive sin da piccola con la sua grafomania e si allena per diventare campionessa olimpica di apnea libraria.
«L’assurdo è evidente nel quotidiano, anche ai livelli più mondani, ne abbiamo costantemente segnali, epifanie, ma tendiamo a non ammetterlo se non come rumore di fondo, sirena da ignorare per non finire intrappolati dentro un groviglio involuto di ragionamenti paradossali».
«Loskutoff racconta l’insofferenza del selvatico all’addomesticamento attraverso la parabola di Ruthie, lacerata dal dissidio tra i problemi tutti banali del “dover vivere fra gli uomini” e la sua personale tensione a un oltre inafferrabile, restituendo la sofferenza di chi desidera perdersi e ritrovarsi al di là della miseria umana».
«Non esiste alcuna separazione tra mente e corpo, nessuna tra corpo e universo. La consolazione ultima arriva quando osservando l’immenso ci sorprendiamo nello scoprire che l’immenso non è troppo diverso da noi».
«Il libro cattura l’incanto di quelle estati lunghissime che possono esistere solo nell’infanzia e delle amicizie che solo in quelle estati sono così intense da farsi questione di sopravvivenza. Nel caso di Barnaby e Christie, metaforica e non».
«Tra gli elementi di un’ecologia allo stremo e l’esplorazione degli abissi interiori dei personaggi, Cassini tratteggia soprattutto un dramma identitario, la crisi di un protagonista che cerca di definire sé stesso e i propri scopi, e ancora sé stesso attraverso i propri scopi e viceversa».
«Una costante della poetica di Otis è l’esplorazione della solitudine e dell’alienazione, del tentativo di superare i limiti della contingenza e riuscire a colmare la distanza dall’altro, oltrepassando persino sé stessi».
«La malattia mentale era qualcosa cui guardare con terrore, uno stigma da nascondere lontano e da vivisezionare alla cieca, mentre la sua stretta sui più giovani si trasformava da etichetta in cappio, da condizione in colpa».
«Quella di Hao Jingfang è una raccolta variamente assemblata e composita, come la città che descrive. È un complesso stratificato, che spazia attraverso i vari volti della narrativa di genere, tuffandocisi a piene mani e contaminandoli».
«Le storie de L’uovo di Barbablù sono come diorami, miniature cesellate – quei giardini di sale che battezzano il nono racconto – in cui ogni storia è un micromondo caricato a orologeria e pronto alla detonazione».
«Valeria Parrella esplora l’impatto trasformativo della perdita e i modi imprevedibili in cui ci si risolleva dal dolore, passa per il lutto, per le difficoltà dell’adozione, e condensa tutto questo in poco più di cento pagine».
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