Notturno di Gibilterra, o del sabotaggio

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La quarta di copertina di Notturno di Gibilterra di Gennaro Serio, romanzo vincitore del Premio Calvino 2019, descrive il proprio contenuto come un «ipergiallo». Il termine è stato coniato appositamente dalla casa editrice che l’ha portato in libreria, L’orma editore, e sottintende una moltiplicazione, una diffrazione di dimensioni che si espandono, quasi si trattasse di una figura da geometria impossibile. Il libro si configura infatti come la somma di parti potenzialmente indipendenti che vanno a costituire un disegno più ampio. A dipanarsi è una trama di tipo giallistico, con un assassinato, un assassino e una caccia all’uomo.

Notturno di Gibilterra prende dunque avvio da una premessa tradizionale quanto lineare. Un giovane giornalista viene trovato morto nella sala da tè del Grand Hotel Rodoreda di Barcellona, dove si trovava per intervistare lo scrittore Enrique Vila-Matas che a sua volta sparisce nel nulla, divenendo subito il principale sospettato. La scelta del presunto omicida, autore spagnolo esistente e vivente, è già di per sé una piccola dichiarazione d’intenti del dialogo dinamico con la letteratura che Serio intende sostenere nelle successive duecentocinquantotto pagine. Ma la spia immediata dell’operazione che l’autore intraprende e della singolarità della narrazione è rintracciabile ancor prima che questa cominci, fin dall’esergo. A differenza della consueta manciata di righe di citazione seguite da un nome altisonante, troviamo una lunga digressione che scompone il concetto di esergo stesso. L’apertura di Notturno di Gibilterra è una sorta di “metaesergo”, proemio alla natura multiforme del racconto di cui si fa ingresso.

Protagonista della vicenda, almeno all’inizio, è un detective senza nome, dichiarato Nemico delle Lettere, che presenta se stesso solo per dare spessore al proprio resoconto, e lo fa non affermando ma sottraendo. Nessun appellativo, nessuna storia pregressa, nessuna collocazione nel panorama letterario, anzi, la negazione decisa del ruolo di “personaggio”. «Non ho niente a che vedere con i detective dei libri, e non ho niente a che vedere con i libri», sono le parole con cui sceglie, bruscamente, di dipingersi. Ad affiancarlo nell’indagine è la sorella medico legale Soledad, suo riflesso opposto, appassionata lettrice e vestale della parola scritta, in grado di cogliere rimandi libreschi sulle scene del crimine e connettere ogni citazione come fosse un indizio. Il romanzo segue la caccia attuata dal detective per tutta l’Europa, all’inseguimento dello scrittore omicida, trasformandosi da giallo in rocambolesco racconto d’avventura. Le questioni affrontate si muovono al di là della risoluzione del delitto. Tra i diversi temi emerge quello del timore del fallimento: di Soledad con la scrittura, del detective con il caso. La loro presenza nella vicenda si biforca, in un dualismo che li contrappone e interscambia finché ciascuno trasmigra nella dimensione dell’altro e i ruoli di criminale e poeta finiscono per combaciare perché «lo scrittore non è il detective, lo scrittore è l’assassino».

Col susseguirsi delle pagine la prosa si scioglie, il nucleo si diluisce e la corsa del protagonista diviene deriva. «Questa caccia sta assumendo senso in se stessa», legge Soledad su una lettera ricevuta dal fratello. Il romanzo va trascolorando dal proprio genere e il detective si rivela suo malgrado profetico quando tenta all’inizio della storia di definire il proprio scritto, affermando: «Il colore di questo resoconto, comunque, non ha nessuna importanza». Non è infatti il “giallo” ad essere cruciale in Notturno di Gibilterra. La trama non è che un espediente per attuare un discorso di tutt’altra natura, per prendere congedo dal giallo stesso e creare un gioco letterario che, se da un lato attinge a tutta una tradizione sperimentale di lingua spagnola (da Bolaño a Cortázar a Vila-Matas e tutto ciò che vi passa attraverso) ma anche italiana (il Michele Mari innamorato del racconto marinaresco di La stiva e l’abisso o di Otto scrittori, per fare un esempio), e dall’altro riprende in maniera diretta gli autori più celebri del giallo (Vázquez Montalbán, Simenon, Christie, Chandler…), riesce a muoversi con sicurezza anche su una direzione propria, personale e ben scandita.

Gennaro Serio va a sabotare dall’interno quello che è il genere “di genere” per eccellenza: che si chiami giallo o noir, questo tipo di letteratura si apre con un crimine e segue determinati schemi fissi e, anche laddove il finale non sia ottimista o risolutivo, è proprio la stabilità della struttura a mantenere la lettura rassicurante. Il lettore di genere sa cosa aspettarsi voltando le pagine, anche quando l’assassino è il personaggio più improbabile, anche quando le dinamiche sembrano portate al limite. Il giallo è tendenzialmente la “categoria” editoriale più redditizia e sicura, quella che si muove sempre sul filo dell’evasione, che quasi autorizza una fruizione leggera, distratta. Notturno di Gibilterra è costruito proprio sullo smantellamento metodico di questo concetto. Ciò che Serio fa è giocare con le aspettative di chi legge, condurle in una direzione, poi virare bruscamente e senza alcun preavviso, di modo che, anche accostandosi con la massima concentrazione, ci si ritrovi smarriti, alla deriva insieme al protagonista e come lui bersagliati dalla carica di alterità e di imprevedibile che la letteratura sempre reca con sé. Serio gioca a intrappolare il lettore nel suo stesso pregiudizio, inceppando di volta in volta i meccanismi che questi crede di riconoscere ma che gli si rivoltano contro in modo sistematico e inesorabile.

Tuttavia è necessario non fraintendere: sebbene l’intreccio di Notturno di Gibilterra non sia affatto convenzionale, ma metaletterario e funambolico, rimane, cionondimeno, conclusivo. Abbiamo, come già detto, un delitto, un assassino e una spiegazione, abbiamo un ritmo che incalza e corre veloce verso la ricerca della verità. Che quest’ultima poi non sia quella che ci si attende, è qualcosa di cui eravamo stati avvertiti fin dall’esergo. La struttura del testo si fa esponenziale e molteplice, frammentandosi in più gialli diversi che si sommano, si intersecano, si smentiscono tra loro. Un rapporto poliziesco convive con l’analisi di barzellette, un torneo di detective letterari (capitolo gioiello in cui Serio mette a nudo tutta la sua passione per il genere di cui si fa bonariamente gioco) si accosta a lettere deliranti da diversi luoghi del mondo e racconti inediti alla disperata ricerca della gloria. Il libro è un caleidoscopio di carteggi, referti, interviste dattiloscritte, in cui l’impostazione narrativa cambia continuamente, ribaltando non solo la vicenda ma la natura del romanzo che si trova a riflettere su se stesso e a ridere – sghignazzare – della propria morte pluriannunciata.

Se in Notturno di Gibilterra traspare una gioiosa foga da esordio, ancora di più colpisce la grande padronanza che Serio ha del proprio materiale, mentre tiene insieme i fili della storia, decidendo quando tenderli e quando aggrovigliarli. Quella che vediamo è una seduta spiritica che condensa gli spettri dell’universo letterario, li rende fisici e li dispone su una scacchiera dalle caselle cangianti e infide. Ogni componente del libro è mantenuta sotto controllo proprio dove sembra che il controllo sfugga, a livello di caratterizzazione dei personaggi (mefistofelici o oltremodo ingenui, ambiziosi o pacificati), di composizione della trama, di ricerca linguistica e spaziale. Ciascun elemento è connesso all’altro, tanto che la vicenda non può che essere raccontata mediante un linguaggio cosmopolita, profondo, in un détournement che gioca tra le lingue del vecchio continente, consegnando una narrazione poliglotta e fluida, senza una patria precisa, emersa al centro stesso di un’Europa onirica eppure tangibilissima.

Il gioco colto di Serio funziona perché non è mai spiattellato: la strizzata d’occhio arriva a chi la sa cogliere e non indispettisce chi non la riconosce. A qualsiasi livello si legga il romanzo – che sia il basilare susseguirsi degli eventi o che sia la ricerca della citazione, la riflessione della letteratura che si avvita su se stessa – Notturno di Gibilterra è un libro che funziona, un libro difficile da classificare che sorprende a maggior ragione nel suo essere esordio.

Quello di Gennaro Serio è soprattutto un romanzo beffardo, di vendetta. La rappresaglia a cui assistiamo non è però quella che pensiamo di vedere, quella che, forse, si scioglie a poco a poco mentre le parole scorrono. Protagonista è la vendetta della letteratura contro i suoi stessi personaggi e contro lo scrittore sicuro di poterla controllare. Quando i protagonisti credono di avere il controllo della narrazione, la narrazione stessa si vendica e li confonde, li sgomenta. Quando il lettore crede di aver capito i meccanismi la narrazione li fa detonare. Quando l’autore crede di aver concluso la propria opera la narrazione lo fa incespicare in una punteggiatura ribelle, nella latitanza di un ultimo punto fermo. Notturno di Gibilterra è un’ode composita alla letteratura e alla sua onnipotenza, al suo essere «impresa estremamente inutile e del tutto estemporanea», e proprio per questo preziosissima, un inno intriso di un riso cerebrale ma non freddo che a tratti sorprende col sopraggiungere, inatteso, di una certa tenerezza.