Tutti i nostri discorsi su Tutti i nostri premi

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Al Salone del libro di quest’anno, precisamente nella mattinata di domenica 21 maggio, è stato presentato un libro di Racconti edizioni diverso dal solito: non si tratta infatti di una raccolta di un autore italiano, o della traduzione di uno straniero – le due tipologie di libri a cui ci ha abituati la casa editrice – ma di un’antologia (composta da ventitré autori) che affronta un tema particolare: il premio letterario. L’orecchio, sin dal titolo, si sintonizza su Thomas Bernhard e il suo I miei premi; l’occhio, sin dalla copertina, cade sul Premio Strega (anche se «l’immagine è quella della cedrata Tassoni»). Alla presentazione di Torino hanno partecipato, oltre ai tre curatori, anche alcuni autori e autrici: Paola Moretti, Domitilla Pirro, Stella Poli, Veronica Raimo, Marco Rossari, Luca Ricci e Vargas.

Dopo aver letto il libro, ci siamo accorti che una recensione non sarebbe andata bene: Tutti i nostri premi è infatti un’antologia costruita su una molteplicità di voci, tra cui anche quelle dei curatori. Ci saremmo sicuramente persi qualcosa. Ecco dunque che è nata l’idea di avere un confronto con Emiliano Ceresi, Giacomo Ferrara e Mattia Fiorillo, che hanno curato la raccolta. Li abbiamo incontrati durante un pomeriggio assolato in un bar a San Lorenzo: il clima e il luogo ideali per tirar fuori confessioni grette e segreti inconfessabili, ma anche per fare due chiacchiere in libertà.

David Valentini: La prima domanda per rompere il ghiaccio. Come nasce l’idea di questa raccolta?

Giacomo Ferrara: Chiacchierando con Stefano Friani (uno dei due editori di Racconti edizioni, ndr), senza nessun tipo di pretesa. Parlavamo di come coniugare un’antologia di scrittori contemporanei con l’idea dietro a I miei premi (Adelphi), questa raccolta di Thomas Bernhard che avevo ascoltato in un audiolibro su RaiPlay. Ogni capitolo di questo libro è un raccontino su un premio che Bernhard vince. Ne abbiamo parlato con Stefano: all’inizio lui non ci ha detto nulla. Poi dopo due giorni ci ha chiamato e ci ha chiesto: “Vi va di fare questa cosa? Di lavorarci sopra?” È andata così, Bernhard è stato alla base dell’ispirazione.

Emiliano Ceresi: Una cosa che forse va aggiunta è che siamo in tre perché in tre abbiamo iniziato insieme questo piccolo progetto di interviste a scrittori e scrittrici che si chiama Ragù e che facevamo soprattutto al Brancaleone (un centro sociale nel quartiere di Monte Sacro a Roma, ndr), ma anche in diverse librerie, che poi è il luogo dove abbiamo intercettato Stefano Friani. Già esistevamo in questa forma. In quel periodo (settembre dello scorso anno) ci eravamo un po’ invaghiti dell’umorismo di Bernhard, il modo in cui parlava dei premi. È un aspetto su cui insistiamo anche nell’introduzione. Se per Bernhard essere mondano era più che altro un problema – tant’è che gran parte delle incomprensioni e del divertimento di quel libro derivano proprio dal fatto che il suo personaggio non facesse alcuno sforzo in quella direzione – oggi uno scrittore deve fare spesso i conti con i premi, le occasioni pubbliche, i firmacopie. Si tratta di quell’apparato di lavori “alimentari” che, per citare un poeta che scriveva anche sui quotidiani, potremmo chiamare “Il secondo mestiere”.

Giacomo: A un certo punto ci era anche venuto in mente di chiedere agli autori di raccontare le loro scelte lavorative, che potevano avere a che fare o meno con la scrittura.  

David: C’è stata quindi a un certo punto la possibilità che il libro diventasse un’antologia di racconti su quello che fanno gli scrittori per vivere con la scrittura?

Emiliano: C’è stato un momento. Poi all’editore l’aspetto del premio è sembrato più convincente. Ci sembrava interessante provare a utilizzare un modello testuale che secondo noi era effettivamente riproducibile – il racconto-reportage sul premio letterario – e proporlo ad altri scrittori. Poi, come vi sarete senz’altro accorti leggendo l’antologia, dopo una prima fase in cui questo approccio rischiava di diventare un po’ asfittico, abbiamo deciso di allargare ai premi tout court. Ci sono diversi racconti che escono dalle paratie dell’ambito letterario. Carolina Cavalli (1st Round Terrier) parla di un concorso canino, mentre Stella Poli (Con lo scotch solo da un lato) modula il tema della competizione, o meglio della sfida, in una relazione sentimentale che svolge a distanza di anni. A un certo punto ci siamo resi conto che poteva risultare stucchevole riprodurre per tutti i racconti il modello-Bernhard, oltre che poco interessante. Di contro, ci sono scrittori che vi hanno aderito in maniera manifesta con risultati a mio avviso notevoli: penso a quello di Gilda Policastro (Tutti i miei premi) dove Bernhard è ampiamente citato, ad esempio, o Marco Rossari (Tutta colpa degli sci), che ha scritto sostanzialmente un racconto composto da un unico periodo, attingendo anche ad alcuni scrittori degli anni Novanta, per esempio Aldo Nove.

Mattia Fiorillo: A me l’aspetto che interessava di più è che quando si parla di premi letterari – la cosa teoricamente più vicina a livello geografico alla letteratura – non si parla quasi mai di letteratura, ma di quello che ruota intorno ai premi: rinfreschi, competizioni umane e non letterarie. Questa cosa ci divertiva perché forniva un taglio comico. Poi ci siamo resi conto che, come in Bernhard, si poteva passare facilmente dalla comicità alla cupezza. Volevamo inoltre riportare la voce e lo stile di ogni autore: per questa ragione l’antologia ha tantissime voci diverse, giustapposte in modo da indagarne la varietà.

Emiliano: Noi citiamo sempre Bernhard per il titolo, ma ci siamo accorti che esisteva già un apparato di articoli sui premi in Italia di scrittori-corsivisti che a noi piacciono molto. Ne abbiamo inseriti alcuni nell’introduzione: Manganelli, Arbasino, che dedicò persino un documentario al racconto dei premi (oltre che un girotondo in forma di filastrocca particolarmente divertente), Gadda, Calvino e recentemente ne aveva scritto anche Trevisan con Black Tulips (Einaudi). Gadda che parla del Bagutta, e di quanto è disturbato dal fatto che guadagna le sue prime attenzioni, del disordine ammonticchiato sui tavoli della sala e sui davanzali che lo affligge. Ci siamo resi conto che esisteva un racconto dei premi in Italia e che potevamo provare a giocare anche con questa tradizione.

Flavio Natale: Come avete selezionati i racconti? L’antologia è molto eterogenea, ma questa eterogeneità è arrivata nella fase di ideazione del libro o in corsa? Aprite ad esempio con un racconto (Il premio generosità, Veronica Raimo) che non è su un premio letterario.

Giacomo: Diciamo che in quel caso il premio letterario viene dato quasi per scontato. La protagonista del racconto di Raimo vince sempre il Premio Italiano, ma lei vuole vincere il Premio Generosità.

Emiliano: Nel caso di Veronica Raimo, come di altri, ci divertiva anche inserire scrittori e scrittrici che avessero preso parte ai premi recenti. Raimo ha vinto lo Strega giovani ed era l’anno scorso in cinquina. Gian Marco Griffi (Crepuscolo a Roghudi Vecchio) quest’anno era in dozzina e non è entrato per poco in cinquina – ma del resto si era tutelato con autoironia scrivendo, appunto, di un odiato Griffi che trionfa in tutti i premi letterari (di genere o non) che vengono banditi in Italia.

Mattia: Io avevo contattato Vargas (Amici doo Strega) perché mi faceva ridere quella cosa molto vicina allo shitposting che fa sui social. L’avevo letto sulle riviste e soprattutto aveva partecipato a Masterpiece – il reality sulla scrittura – dove rispose a un tizio che gli diceva di leggere i russi per migliorare la sua scrittura: “I russi mi annoiano”. Mi sembrava che potesse scrivere su questo argomento. Poi lui mi ha proposto una serie di progetti di racconto. È il primo che ci è arrivato e il primo che abbiamo editato. Alla fine è venuta fuori una cosa totalmente diversa dalle aspettative, un racconto di genere, ma mi è piaciuto questo fatto qui, che ne sia uscita fuori una cosa diversa.

Giacomo: Quando abbiamo parlato dell’antologia la prima volta con Francesco Pacifico lui ci ha risposto: “Ovvio, un racconto sui premi non puoi farlo serio”. Abbiamo sempre cercato una voce vagamente leggera, un tono ironico e comico. Quindi quando ci chiedi a quali autori pensavamo durante la selezione, diciamo che gli scrittori particolarmente aulici ed eleganti, quelli non li abbiamo contattati.

Emiliano: Rispetto al principio di selezione, la sequenza dei racconti è pensata per cortocircuiti, dissonanze. Sono tutti scrittori molto diversi per stile, voce, retroterra. Per la stessa ragione abbiamo scelto di distanziare, per esempio, Giulio Mozzi (Solo a me stesso) e Gian Marco Griffi, che hanno prose e trame affini. L’eterogeneità della raccolta risponde all’eterogeneità dei nostri gusti da lettori che sono per molti versi simili, ma non del tutto. Ci sono autori a cui ciascuno di noi è più affezionato, ma in generale ci interessava pubblicare un’antologia che deprimesse l’orizzonte d’attesa sin dall’indice. Quando Matteo Marchesini (Rapida ascesa di B. Lojacono) ha condiviso il post della pubblicazione dell’antologia su Facebook, una persona gli ha commentato qualcosa tipo: “Sei in ottima compagnia”, e lui ha risposto: “Sicuramente è una compagnia strana, chissà che effetto fa”. Non è stata immediata né automatica la scelta dei nomi: Ugo Cornia (Il Premio Bergamo) che è del gruppo Compagnia Extra, due esordienti come Federica Sabelli (L’alveare) ed Emanuele Martino (Cipollino, i popoli sono come le montagne) che avevano scritto solo su riviste, Vargas che risponde al gruppo di Malgrado le mosche, Raimo e Rossari invece a quello di Einaudi, per citare solo quattro aree che sono rappresentate nella raccolta. Può capitare che le antologie aderiscano a gruppi più compatti e riconoscibili: di fatto già consorziati. Qui le voci sono indubbiamente diverse: un criterio che le unisce, però, è che molte di loro sono per esempio in grado di scrivere in chiave umoristica.

Giacomo: Poi ci sono tre scrittori comici – Valerio Lundini (Lettera alla terza classificata di Miss Italia), Alessandro Gori (Claughio) e Saverio Raimondo (Grazie a tutti) – che in una raccolta così di solito fatichi a tenere dentro. A mio avviso qui sono entrati in modo abbastanza naturale.

Mattia: Aggiungo che nella libreria di San Lorenzo dove lavoro abbiamo presentato recentemente Caccia allo Strega (nottetempo) di Gianluigi Simonetti. Una delle cose che si domanda Simonetti riguarda ciò che lo Strega tendenzialmente esclude, quali tendenze. Una di queste è la letteratura di genere e l’altra è la letteratura comica. In verità c’è una specie di risalita, di rinascimento della letteratura comica secondo me. La stessa Veronica Raimo, con quel tono leggero, molto scazzato e disinvolto, ha guadagnato lettori e anche una critica abbastanza positiva. Noi volevamo dare conto di questa cosa.

Giacomo: Simonetti dice anche che da anni vincono o si piazzano in cinquina soltanto racconti di vittime, racconti pesanti, commoventi.

Flavio: «Vincerà dei tre quello che è più sul trauma» (da Concorrenti, giuria, giuria junior, attivist*, amori e un critico, Francesco Pacifico).

Giacomo: Esatto. Forse, e dico forse, esiste un modo per raccontare la mancata vittoria di un premio come un vero trauma. Ma di base un racconto del genere non si sviluppa in questo modo. Per lo meno non nel nostro caso, dove semmai l’evento scatenante, la partecipazione al premio, è un antitrauma.

Emiliano: Il disinteresse dello Strega per il comico ha radici storiche. Ne scriveva pure Raffaele Manica in effetti tempo prima. Ma anche l’anno scorso Daniela Ranieri (Stradario aggiornato di tutti i miei baci, Ponte alle Grazie, ndr), che poi è stata esclusa dalla cinquina, parlava in pagine molto divertenti di questioni surrenali.

Flavio: Anche lo Strega di quest’anno è andato nella direzione dei romanzi che hanno come protagonista il trauma. È una cosa che il pubblico effettivamente richiede o l’editoria si è adagiata su questa idea e la ripropone?

Mattia: Su questo argomento un autore che ci piace molto è Daniele Giglioli. In Critica della vittima (nottetempo) parla di questo problema, dello statuto di vittima come condizione identitaria. Dice qualcosa come: «Se l’identità coincide con il trauma, siamo in credito di passato e non di futuro». È una frase meravigliosa, no? Riguarda tanto la letteratura quanto la vita o la società. Simonetti non ne fa nemmeno una condanna, non è ammiccante rispetto alle polemiche letterarie, racconta semplicemente una storia del premio. E il mercato in questo momento richiede il trauma.

Flavio: Però il mercato viene modellato (anche) dalle scelte che si compiono allo Strega, non è solo una questione di ciò che il pubblico richiede.

Emiliano: La cosa interessante che dice Giglioli, però, è che la tragedia nasceva da traumi storici, mentre adesso la situazione paralizzante che vivono molti scrittori è proprio quella di non avere traumi condivisi. Comunque si è ripreso quel modello di romanzo, con una scrittura molto nitida. Simonetti, riprendendo Barthes, la definisce una scrittura “bianca”. La difficoltà della nostra antologia è anche un’altra: i racconti vanno male generalmente perché è difficile immedesimarsi con situazioni che cambiano con grande rapidità, lo dicevano già Fruttero e Lucentini, tanto più in un’antologia (e non in una raccolta di racconti di un singolo autore) dove cambia anche il passo degli scrittori.

Giacomo: Sono d’accordo con te quando dici che la direzione del pubblico da un lato la segui e da un altro la imponi. Se allo Strega decidi che la letteratura buona è quella del trauma alla fine il pubblico si convincerà di questa cosa qua. Un’altra parte fondamentale dell’analisi di Simonetti di cui è interessante tenere conto è che dai libri che vanno allo Strega molto spesso si traggono dei film: è un modo per monetizzare, e funziona. Non si sa per quale motivo ma i film che vengono fuori dai libri vanno sempre abbastanza bene.

Emiliano: Come se alcuni libri, per riprendere una formula di Nencioni, fossero già scritti per il cinema, diciamo “scritti-guardati”, “scritti-sceneggiati” e non “scritti-scritti”, quasi dei trattamenti. Ma non nel senso in cui lo erano Teorema o La bella di Lodi, per citare due autori stilisticamente molto diversi. Simonetti fa notare anche il numero impressionante di libri che hanno vinto lo Strega recentemente e sono finiti in sala.

Mattia: Per me conta vedere quali conseguenze generi questo meccanismo. Che un libro possa essere scritto per lo Strega è assurdo, se si considera questo come il premio italiano più importante – e in generale se si considerano i premi come assicurazione della validità di un’opera. La letteratura buona per me si è sempre mossa al di fuori di queste logiche, i libri buoni sono pochi ed è difficile che ogni anno ne escano cinque buoni. Il Premio Strega è qualcosa che permette di leggere il mercato, più che l’orientamento della buona letteratura. Tra l’altro, spesso non vengono premiati i migliori libri dei bravi scrittori: non il miglior libro di Walter Siti, non il miglior libro di Emanuele Trevi.

Emiliano: In maniera molto consapevole Walter Siti ha giocato con questo meccanismo, costruendo un libro da Strega (Resistere non serve a niente, Rizzoli) ma lasciando delle spie del Siti più letterario che lampeggiano all’interno – e che Simonetti rivela. È interessante, tra l’altro, che in Exit Strategy (Rizzoli) Walter Siti, tramite il suo personaggio autofittivo, racconti proprio il desiderio di vincere lo Strega. In una pagina dice di diventare verde quando scopre, a una cena, che è stato escluso. Anche questo è interessante: ipotizzare, dal punto di vista narrativo  come queste dinamiche si svolgano anche al di fuori della semplice giuria –, una cosa di cui trattano alcuni racconti che abbiamo inserito nell’antologia. Come si parla del fatto che in qualche modo quasi tutti gli scrittori siano interessati ai premi.

Mattia: Che tra l’altro è una cosa di cui mi sono reso conto solo curando questa raccolta. Esistono delle posture letterarie, posture d’autore, ma tutti rosicano per l’esclusione da un premio.

David: Ci sono persone che a posteriori avete escluso dopo aver ricevuto il racconto? In questa antologia abbiamo 23 autori, quindi la rosa iniziale era verosimilmente più ampia.

Emiliano: Abbiamo provato a scrivere a uno scrittore che ammiriamo molto, e lui ci ha detto (non so se è un diniego che avrebbe fatto in ogni caso): “Io non sarei in grado di scrivere sui premi, neanche in modo comico”. Questa risposta ci ha fatto interrogare sul registro che volevamo per la raccolta, e ci siamo resi conto che risultava stucchevole una richiesta troppo orientata. Così abbiamo accettato racconti diversi.

Giacomo: Abbiamo scritto anche a Tommaso Pincio e lui ha detto semplicemente: “Non scrivo più racconti”.

Mattia: Poi c’è da dire esisteva anche uno sbarramento economico, avevamo delle risorse da gestire. Ah, e un autore ci ha risposto che non poteva perché era in Antartide.

David: Ma ci sono stati anche dei no da parte vostra?

Mattia: Sì, anche per una scrittrice di cui mi era piaciuto molto l’esordio. Abbiamo lavorato molto sul suo racconto, editandolo più volte, provando anche un po’ a indirizzarlo, ma ci siamo resi conto che lo stavamo storcendo troppo, e che non era la voce che ci serviva per la raccolta. Tutto molto serenamente.

Flavio: Nell’introduzione voi dite che lo Strega, e i premi in generale, sono per uno scrittore “un invito in società”. Secondo voi a un certo punto si crea una società di premiati o di persone che partecipano a un premio e di persone che invece lo rifiutano?

Giacomo: Tu consiglieresti a qualunque esordiente di non partecipare al Calvino? Il Calvino, da quello che vedo io, è abbastanza sano. A quanto ne so, molti buoni editori, anche indipendenti, si leggono tutti quanti i finalisti del Calvino. Una cosa sanissima.

Giacomo: Prendi ad esempio la classifica dell’Indiscreto: anche chi “non è nel mainstream” la guarda con attenzione. Ce lo butta l’occhio.

Emiliano: Poi va detto che lo Strega ha provato a tutelarsi dalle polemiche inserendo le case editrici indipendenti. Un po’ di tempo fa è entrato in cinquina o dozzina Luciano Funetta, scrittore di riferimento per molte riviste che verosimilmente provano sfiducia nei confronti dei premi. Un altro aspetto interessante scoperto tramite i racconti dell’antologia è l’esistenza della figura dello scrittore che vive di premi underground. Lì c’è la filigrana di Roberto Bolaño, e ne parlano sia Griffi che Mozzi. Non si tratta di premi fastosi ma solo di rimborsi utili per allenarsi.

Giacomo: Diciamo che con quei premi ci puoi arrotondare.

David: È interessante capire perché si partecipa a questi concorsi. Se per sperimentare, per avere un riscontro da una giuria o per vincere qualcosa a livello economico. Se partecipi allo Strega lo sai perché. Se partecipi al premio Poggibonsi ti chiedi perché.

Mattia: Secondo me al premio Poggibonsi ci partecipi per i soldi. Per quanto riguarda lo Strega, penso che in verità quasi tutti gli scrittori vogliano parteciparvi. Non è che aspirino a vincerlo, però sanno che è un moltiplicatore di lettori. La gran parte degli scrittori vuole essere letta, e non solo per la fama.

David: Penso che la parola Strega sia la prima che conosci quando ti approcci al mondo letterario. Vi faccio un esempio: nel mio ufficio, che è una società di consulenza, quasi tutti sanno che esiste qualcosa che si chiama Premio Strega, e che si tratta del principale premio italiano.

Giacomo: Che se ci pensi è molto diverso dai David di Donatello. Voi sapete chi li ha vinti quest’anno? Io no. Al pubblico non interessa, mentre per gli addetti ai lavori è importante.

Emiliano: Tra l’altro sottovalutiamo da quanto tempo è importante lo Strega. In una fase di particolare polemica, alcuni intellettuali dell’area della neoavanguardia in Italia avevano bandito il premio Fata, proprio in contrapposizione allo Strega. Questo mi ha dato il metro. Pensavo che la penetrazione dello Strega fosse stata più invasiva in anni recenti – per la mondanizzazione, le dirette televisive, le bandelle. Mentre era avversato, o rappresentativo di una società avversata, già dal 1967.

David: Ha anche a che fare con i numeri. Rispetto ai numeri che si fanno in America, ad esempio, il mercato italiano è molto più piccolo: già arrivare a far parte della cinquina comporta un incremento di vendite considerevole.

Giacomo: Il fatto è che manca anche un filtro convincente di critici e riviste. In America se un libro ha una recensione favorevole sul New Yorker, per dire, fa buoni numeri. Una recensione positiva su Repubblica non sposta granché.

Emiliano: Parlando di dinamiche estere, il Goncourt – premio letterario francese assimilabile allo Strega – nasce per combattere il mercato, per dare lustro, visibilità a romanzieri tutelandoli dalle pressioni del mercato. Il premio ideale per me deve fare questo con un libro come l’ultimo di Francesco Pecoraro.

Giacomo: Solo vera è l’estate, che tutti i critici hanno definito un ottimo libro, per quanto ne so non ha avuto il successo di pubblico che merita. In America o Inghilterra o Francia se ti dicono che un libro è buono esiste un pubblico di persone che se lo legge, senza bisogno dei premi. Questa roba in Italia manca. Forse accade nella bolla. Se ci pensate Griffi è nato così, nella bolla.

Mattia: E Griffi è nato anche dalla sapienza di Mozzi. Il fatto è che le dinamiche che si credono interne agli Amici della domenica per me esistono a tutti i livelli. È sempre una questione di gruppi, di affinità, e non è per forza un male. Se si dovesse recuperare una figura, poi, è quella del critico letterario.

Giacomo: Secondo me più che la figura del critico, quella della rivista: una voce non piccola, diciamo media, rispettabile, che dice quali siano gli scrittori che apprezza e di cui la gente si fida. Questa cosa qui in Italia non esiste.

Emiliano: Mi stupisce il modo in cui si fatica a creare un ponte tra la critica e un canone che venga poi assorbito da potenziali lettori: penso magari a chi insegna. Se fossi a scuola, Solo vera è l’estate è un romanzo che proverei a far leggere scommettendo anche sui lettori, come a me è stato dato Ragazzi di vita.

Mattia: Voglio dire una cosa di cui tra noi parliamo spesso. Noi facciamo queste interviste agli scrittori con Ragù, e ci ripetiamo sempre: facciamo solo quello che ci piace. Ci sono state fatte delle proposte e non abbiamo accettato. Perché? Perché per ora non ci si incula nessuno e non ci paga nessuno. Le marchette non mi stupisco di trovarle su Repubblica, ma mi stupisco di trovarle a livelli in cui non è sensato né necessario farle.

Emiliano: Una cosa che si potrebbe fare a tutti i livelli artistici, che fa Simonetti come tutta la migliore critica, è porre il lettore davanti alla pagina. Davanti a una pagina ben scritta, l’evidenza dell’avverbio al posto giusto, dell’interpunzione che funziona, della musica del periodo: si possono avere moltissimi stili ma c’è sempre un solo modo di scrivere bene. Bisogna provare a fare anche questo, a volte, anche con le pagine scritte male: far sentire il clic di cui diceva Leo Sptizer. Con il lavoro di editing speriamo di aver aiutato gli scrittori e le scrittrici.

David: Per me la raccolta è azzeccatissima, in particolare perché le voci diverse consentono di evitare un problema: difendere i premi oppure raccontarne solo l’aspetto critico.

Emiliano: Il racconto di Ugo Cornia è il testo più gaio e risolto che si possa scrivere. Vince un premio, non bada alla gloria, viaggia con un amico e si concede questa gita presentandosi coi pantaloni di fustagno bucati. È tuttavia bernhardiano: ha una certa litania, una certa tensione alla ripetizione, ma anche una tenerezza di fondo nel ricordarsi la compagnia della libraia che lo ospita o nell’essere colpito dagli alberi che vede tra le case.

Mattia: Fra l’altro lui stava all’Infernetto e dice che la cosa che gli piaceva di più di Roma (dove era venuto a lavorare) era camminare accanto ai pini dell’Infernetto, fumando, perché era l’unico momento della giornata in cui poteva fumare quante sigarette voleva. In ogni caso volevamo questa sventagliata di autori perché il nostro principale interesse era stilistico. Il tema offriva la possibilità a uno scrittore di esprimere il proprio stile: non ci interessava l’intento polemico.

Emiliano: Forse la copertina dà un allure teppistico alla raccolta che non le corrisponde del tutto. Anche se è molto bella, opera del bravissimo Andrea Bozzo, non voleva essere un’operazione polemica contro un’ipotetica istituzione Strega, come è subito chiaro leggendo i racconti.

Mattia: Però è buffo, perché ha fatto rumore la copertina e non so perché. Un’altra cosa divertente è che qui sono tutti scrittori italiani, ma non si parla di famiglia: però è pieno di amici. Lo stesso racconto di Cornia è un viaggio con un amico: per me – per dire – se vuoi recuperare davvero Roberto Bolaño devi ripartire dagli amici.

David: Un altro tema al centro della raccolta sono le ristrettezze economiche. Mozzi, ad esempio, racconta che quando era giovane doveva arrabattarsi per tirare fuori qualche spicciolo, così come molti altri. Non so quanto siano autobiografiche le storie: ma è così pregnante il discorso della miseria in ambito letterario? Perché molte persone ne parlano come se fosse un punto nodale: sia chi partecipa ai premi per campare, per tirare fuori uno stipendio, sia chi deve inventarsi dei corsi di scrittura o mille altre cose.

Giacomo: Beh, ne stavamo discutendo prima quando parlavamo del terzo mestiere: di libri non ci campi, devi campare coi corsi di scrittura, con le riviste, con i quotidiani. Poi devi lavorare per conto tuo. Di letteratura non ci campa nessuno.

Emiliano: Quello è un falso mito, temo. Manganelli, per citare un esempio che conosco meglio, aveva un contratto con Rizzoli (gruppo editoriale proprietario anche di quotidiani e riviste, ndr) in cui, oltre ai suoi libri letterari che restavano perlopiù invenduti, era contemplato il lavoro come elzevirista. Quando si pensa alle opere sperimentali di quella fase occorre tenere presente questo dato. Poi recentemente ci sono stati esempi diversissimi come Works (Einaudi) di Vitaliano Trevisan, una persona che pur essendo un grandissimo scrittore – fra l’altro pubblicato da Einaudi – ha fatto una dose sconfinata di lavori: da saldare le gabbie ad assicurare le persone con il paracadute. Davvero cose diversissime. E a un certo punto in Black tulips racconta che è costretto ad andare a questo premio perché gli hanno garantito una cifra economica. E dice una frase: andiamo a farci cagare in testa, tanto è una vita che mi faccio cagare in testa. Come se l’idea di andare ai premi sia proprio costitutiva del lavoro di uno scrittore. Il tema della ristrettezza economica per chi scrive in Italia mi sembra abbastanza grave. Sono numeratissimi gli scrittori che possono permettersi di scrivere e basta, e probabilmente sono coloro i cui libri – come dicevamo prima – poi ottengono gli anticipi per le trasposizioni cinematografiche.

Flavio: Tornando alla raccolta, secondo me Tutti i nostri premi è anche un modo per capire come Bernhard venga ricevuto da lettori e scrittori. Mi spiego meglio: Bernhard è considerato un po’ il mattatore della società letteraria, ma un aspetto spesso trascurato è l’amore che dimostra per la società letteraria stessa. C’è ad esempio questo passaggio di A colpi d’ascia in cui scrive: «[..] le persone che ho sempre odiato e odio adesso e sempre odierò sono tuttavia le persone migliori, che io le odio ma sono commoventi, che Vienna la odio ma è commovente, che queste persone le maledico ma non posso fare a meno di amarle». Questo snodo secondo me è importante, perché disinnesca il rischio – in Bernhard come in Tutti i nostri premi – di dire: se il premio ti fa schifo, se la società letteraria ti fa schifo, perché sei lì? Bernhard invece critica ciò che ama, ma non per questo lo ama di meno.

Giacomo: Ho l’impressione che i libri di Bernhard reputati più importanti siano quelli in cui riesce a tenere un tono freddissimo, durissimo, disperatissimo. Noi però siamo partiti dall’altro Bernhard, quello minore.

Emiliano: I racconti che più si rifanno al Bernhard di cui parli tu – come quello già citato di Cornia – recuperano un personaggio che somiglia molto a quello della zia, questa zia che Bernhard porta spesso con sé (uno dei personaggi de I miei premi, ndr).La zia, che non si sa quanto sentimentalmente legata a lui, è un po’ l’amico che Cornia porta in macchina, la spalla con cui darsi di gomito in maniera amicale, complice. La cosa bella è che pur avendo scritto Bernhard titoli molto freddi (Il gelo, Il freddo), gli scrittori che lo hanno preso come riferimento – come Rossari o Cornia nella nostra antologia – hanno scritto racconti caldi.

Flavio: Un altro autore che si sente molto nella raccolta è Roberto Bolaño, specialmente nei racconti di Mozzi e Griffi. Quando avete parlato con gli autori avete fornito dei riferimenti letterari, oltre a Bernhard?

Emiliano: No, soltanto lui: alcuni lo conoscevano, altri no, e a volte credo che le coincidenze siano casuali. Un’altra cosa che ne I miei premi viene spesso sottovalutata sono i discorsi di ringraziamento, che fanno cortocircuito rispetto ai racconti che li precedono. In quella dinamica realizzi perché Bernhard veniva cacciato, malvisto o avversato a fine cerimonia. In effetti, stando alle cartelle rimaste di quel libro, Bernhard voleva tenere insieme i due momenti.

Il racconto di Saverio Raimondo, per esempio, consiste in un discorso di ringraziamento: forse gli è venuto spontaneo per l’affinità con la stand-up. Anche Lundini ha fatto lo stesso: il suo, però, è un umorismo ancora diverso.

David: Prima è uscito fuori il termine bolla. I termini “bolla”, “società letteraria”, “Repubblica delle Lettere” sono sinonimi o hanno connotazioni diverse, ad esempio un po’ più snob, più critiche, più puriste?

Mattia: La bolla esprime il desiderio di stare insieme o di avanzare insieme, ma ha il difetto di occludere qualcosa alla vista. La cosa pazzesca di Bolaño ad esempio è che non esiste la società letteraria e poi la bolla: sono tutti poeti. Non c’è un mondo del tutto fuori da quello letterario: è una cosa incredibile da leggere.

Giacomo: Però c’è la contrapposizione con l’establishment.

Mattia: Ma niente accade solo nella bolla.

Giacomo: Detto questo, noi tre non abbiamo nessun motivo per contrapporci all’establishment. È quasi ridicolo porla in questi termini. Ha senso andare contro Veronica Raimo che ha fatto un piccolo botto con Niente di vero? Ha senso dire che lei si è “venduta”?

Emiliano: Tra l’altro, la nostra raccolta non risponde neanche a un genere specifico, che ha il problema di mettere dentro qualcuno e lasciare fuori qualcun altro, come invece può accadere con altre tipologie. Infine c’è da dire che l’auspicio principale – che mettiamo anche in coda alla prefazione – è che questo libro rappresenta per noi il risultato del lavoro di tre amici che hanno fatto insieme qualcosa (lavorare su dei racconti) che ha contribuito a unirli, partendo da un’idea per certi versi molto semplice e portandola avanti con esiti che a volte hanno sorpreso anche noi.

di Flavio Natale e David Valentini

Illustrazione di radiocomandero