Camille des Grieux, rampollo di una nota famiglia di imprenditori è innamorato di René Teleny, affascinante pianista dalla notevole abilità musicale e dal palpabile magnetismo sessuale. La relazione tra i due popola gli anfratti più dissoluti di un’anonima città francese di fine ’800 e mentre la buoncostume insegue scandali e depravazione, i due degenerati ci trasportano nella loro personale tragedia greca, dove l’impossibilità di volersi in un mondo così violentemente moralista è condita da momenti lirici altissimi e orge dalla carnalità frenetica. Come a voler specificare che sentimenti purissimi possono essere accompagnati da corpi vivi e consistenti, viene infatti messa da parte quell’esigenza ipocrita di dividere forzatamente carne e spirito, rilanciando così nella sortita contro l’immaterialità del desiderio l’importanza della fisicità. In questo senso Teleny dimostra che è possibile scrivere e leggere benissimo anche di un amplesso, o di un particolarissimo modo di mangiare datteri, senza per forza sacrificarne la sostanza erotica in nome di una forma più “pulita” e meno prosaica.
Il romanzo Teleny è un sopravvissuto: la sua storia editoriale riflette la difficoltà di collocarlo oltre il moralismo di quasi un secolo fa. Il nome “Wilde” in copertina è sempre stato accompagnato da qualcos’altro: un punto interrogativo per l’attribuzione titubante o la dicitura “e altri” perché quel bailamme di oscenità non poteva che essere stato scritto da più mani. La sua nascita si colloca nel contesto della circolazione clandestina di romanzetti pornografici nel 1893 in forma anonima. Verrà poi ristampato in Francia da Charles Hirsch nel 1932, privo di alcune parti e “riambientato” a Londra (la prima versione era parigina). Il “falsario” Hirsch sosteneva di aver posseduto il manoscritto originale, adducendo come prova il fatto che Wilde era un assiduo frequentatore della sua libreria, all’interno della quale Wilde stesso avrebbe fatto circolare un quadernino che l’autore si scambiava con un amico.
Da qui in poi la storia peggiora, Teleny subisce ulteriori mutilazioni e lo si ritrova depennato di ben due capitoli (edito dalla londinese Icon Book) e le parti più scabrose non sopravvivono a questo vilipendio. È così che approda in Italia: ferito e a pezzi, mondato da ogni perversione ma salvato in extremis dalla casa editrice ES di Milano. Nell’edizione italiana, Franco Cuomo integra le parti mancanti, prendendo però a modello la versione (già censurata) del falsario francese e propinandola al pubblico come integrale. Nel 1983 la Gay Men’s Press di Londra grazie alla British Library riesuma la primissima edizione, confutando così l’ipotesi filologicamente errata del “Wilde ma non solo Wilde” e affermandone la paternità in maniera più decisa. Wom edizioni lo traduce e ne ricostruisce la storia nella nota editoriale del testo: Teleny redivivo è adesso completo di ogni suo lato più osceno e trova così spazio in una collana rosa (letteralmente) di letteratura erotica.
Quest’operazione di smembramento, disconoscimento e rifiuto è simile a molte altre che hanno da sempre accompagnato la produzione di letteratura erotica. La differenza nel caso di Teleny è costituita da un singolare tentativo di attribuire le parti più “pulite” a Wilde e di lasciare quelle più oscene nell’oblio di una censura o in quello di una paternità negata. Nell’attraversare questo secolo di rimaneggiamenti e rilocazioni (grazie soprattutto alla fede prestata all’editore francese Hirsch) Teleny viene privato di una dimensione corporale che (a seguito di una lettura finalmente integrale) ha la sua enorme importanza, considerato che insieme alle passioni carnali e spirituali, convive nel protagonista l’esigenza sovversiva di rivendicare la propria natura libertina e omosessuale. Il corpo, e le sue esigenze più perverse, è lo strumento attraverso cui si crea il corto circuito nel puritanesimo vittoriano, lo stesso Des Grieux (colto e raffinato) utilizza riferimenti biblici e classici proprio per calare nelle proprie coordinate l’affascinante lerciume di una dissolutezza sfrenatissima.
Il lettore è trascinato in questa ciaccona ostinata di eccitazione e ribrezzo, e se inizialmente è costretto a fissare quella che sembra una sfilza di atti riprovevoli, si ritrova poi sedotto dalle sue più recondite fantasie. Si potrebbe percepire una mancanza di contenuto (sacrificato in nome di una volontà descrittiva asciutta, schietta) ma questo vuoto della rappresentazione è colmato da immagini sublimate e bellissime, tuttavia non sempre completamente esibite. La struttura della sublimazione collassa: ciò che si ottiene è la presenza soffocante dell’oggetto abbietto, un corpo sessuale che si esprime in tutta la sua vigorosa potenzialità. È “il festino perenne della mente perversa” (come lo stesso Wilde riassume) che intimorisce e fa tremare; tremano anche le seducenti illustrazioni di Paola Biandolino che inframezzano le dodici fatiche di queste checche d’altri tempi: i contorni vibranti di corpi stupendi partecipano a questa orgia dei sensi, onorando anche la tradizione delle immagini sporcaccione che accompagnavano i libretti clandestini.
È difficile fuggire dagli eccessi scioccanti di Teleny, si soffre insieme a Des Grieux riconoscendo che resistere (per quel poco che Wilde concede di farlo) fa parte della corsa al piacere. La finzione si mescola alla volontà pruriginosa di leggere ancora e di giungere alla prossima scena, come bisogno impellente di riscoperta: può darsi che la pornografia esista solo per riattivare questo referente perduto, che da qualche parte esista del vero sesso, che permangano ancora corpi reali. Questi simulacri di carne oltre il genere e l’orientamento sessuale rifuggono ogni definizione: si muovono in una iperrealtà in cui ogni limite della ragione è trasgredito, lasciando una domanda aperta: è possibile accontentarsi di una narrazione dominante in cui il suo soggetto principale (il corpo) viene scacciato e recluso nell’abiezione della censura?
“Cosa fai dopo un’orgia ?”[1] sembrano sussurrare all’orecchio.
[1] J. Baudrillard, Cool Memories, Sugarco, Milano1991
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