Tra l’inverno del 1996 e la primavera del 1997 Peter Waterhouse pubblica Im Genesis-Gelände: un vero e proprio “saggio”, Versuch, nel senso di esperimento “genetico” compiuto nelle poesie di Paul Celan e Andrea Zanzotto. Lo scorso dicembre l’editore Castelvecchi ha portato questo testo nelle librerie italiane, con traduzione di Camilla Miglio, conservando il titolo In territorio di genesi. Questo, perché il poeta e traduttore Peter Waterhouse non si limita a scrivere di tali poesie, ma ne sonda il terreno, ne indaga la materia fino a far emergere quella fitta trama di relazioni, quel reticolo linguistico che tiene insieme le parole da ogni dove e che, proprio passando per la poesia attraverso lo Sprachgitter, l’ostacolo-grata di celaniana memoria, può ancora significare. Lo scavo nella lingua alla ricerca del senso come reazione alle assurdità della storia è un tema centrale tanto per Celan (che opera nel tentativo di rifondare quella lingua tedesca svuotata dalla retorica nazista), quanto per Zanzotto (che pure difende la poesia dall’infuriare della storia da dietro il paesaggio) che si incontrano nello spazio poetico di Waterhouse.
La lettura del volume di poesie Sprachgitter di Paul Celan, tratte dall’Edizione di Tubinga (Tübinger Ausgabe) diretta da Jürgen Wertheimer, e il lavoro di traduzione delle opere del poeta Andrea Zanzotto rappresentano il territorio generativo del saggio. La particolare edizione esaminata da Waterhouse contiene diverse stesure delle poesie, annotazioni e liste di parole che mostrano la genesi dell’esattezza terminologica della lingua di Celan: una ricerca tra libri di scienze e dizionari da cui sottolinea le parole provenienti da vari ambiti scientifici, creando connessioni che poi riannoda sulla pagina. Procedimento, questo, che Waterhouse fa suo.
Da tale approccio al testo traspare l’importante gesto critico e poetico dello scrittore: il lavoro sulle poesie prese a riferimento dice una cosa importante, ovvero che la filologia e la traduzione non sono distanti dal pensiero poetante, ma anzi, nel caso di Waterhouse, ne divengono parte integrante tanto che risulta difficile, all’interno del testo, distinguere le voci dei tre poeti. Dunque la traduzione non è qui solo un’operazione interna al saggio, ma rappresenta, in un senso più ampio, lo spazio in cui Waterhouse fa interagire, o meglio reagire, le poesie: ci mostra la parola di Celan come corpo fatto a brandelli da cui emerge, per assonanza, un altro corpo che infonde speranza; la parola di Zanzotto è, per Waterhouse, terreno di antinomie che si risolvono in materia organica stratificata nel paesaggio poetico e da cui ha origine un’unica «composizione».
L’edizione italiana del saggio è uscita lo scorso dicembre, a cento anni dalla nascita di Andrea Zanzotto, e solo un anno dopo il centenario della nascita di Paul Celan. Pur vivendo negli stessi anni, i due autori sembrano non essersi mai incontrati e questo mancato incontro tradisce una vicinanza che poteva apparire problematica: Celan è il poeta delle macerie, canta il resto ancora immerso nell’accaduto di Auschwitz; Zanzotto, invece, sembra aver abbandonato quella tendenza alla dissoluzione per trovare, o meglio ri-trovare, nel paesaggio uno spazio originario, in cui tempo e dimensioni si dissolvono, per abitare quella che Waterhouse definisce una «plurinatura».
Lasciando il sentiero già battuto di un’interpretazione «oscura» dei due poeti e con un focus sulle influenze filosofiche, il poeta-traduttore Waterhouse intraprende un’indagine «endoscopica» entrando nella filigrana del materiale linguistico e sonoro delle poesie. Con la sua lettura ci indica una via, che conduce fino alla sillaba e, da questa, riporta all’indagine, al testo tramite il materiale sonoro.
Waterhouse traccia un sentiero tra le parole dei due poeti, ma non dimentica il bisogno del lettore di essere preso per mano in un territorio tanto mutevole. E allora torna «sulle mani», come ci ricorda la traduttrice Camilla Miglio, e pare invitarci a utilizzarle per tastare il territorio, a drizzare l’orecchio per ascoltare il richiamarsi delle parole a sé, e a chiudere gli occhi per rivedere la bellezza; chiudere gli occhi non significa solamente porre fine alla propria esistenza, ma indica il momento in cui si instaura una relazione ancora più intima con la terra, come quando i morti si fondono con gli alberi nella poesia Nacht, Notte, in cui l’unione con la natura ci ricorda che «eravamo, siamo, / resteremo, fiorendo». Un esempio di fiorire celaniano lo si ritrova ancora una volta nel testo poetico di Waterhouse Fiori. Manuale di poesia per chi va a piedi, dove elementi artificiali e naturali del paesaggio si con-fondono a ogni passo del poeta.
Per Waterhouse la poesia di Zanzotto è paesaggio, il poeta stesso e i suoi personaggi sono figure-paesaggio, come Nino il cui «feudo respira»: il trapasso nella terra è, ancora una volta, vivibilità che si deposita nel terreno e torna a far parte del ciclo della natura.
«Il morto non è il contrario del vivente, entrambi sono miscelabili, e nella miscela, nel sedimento, nella composta viene fuori la composizione, e ci sarà uno zampillare: origine e primavera (come nella parola inglese spring: ‘fonte’, ‘origine’ e ‘stagione’). La forza che si genera nella sedimentazione, nella miscelazione, è quel «se-tu-vuoi»: nascono cespugli di sterpi e faggi e croco e pienezza, primizie e pire ardenti. Il trapassare è in effetti un sedimentarsi, un accumulo di energia – natura, naturans, natale, giorno della nascita, origine e non qualcosa che va perduto».
La ripetizione dei nomi è il movimento che genera corrispondenze tra vivi e morti, tra interno ed esterno, perché è proprio scrivendo, ricordando, che si resta “non perduti”. L’atto di nominare le cose è il primo dono che Dio fa ad Adamo, e per questo dire come si chiamano significa dargli un volto, ripetere l’atto sacro del generare: si può ri-dare volto ricostruendo le parti di un corpo, membro dopo membro, sillaba dopo sillaba, richiamando le voci «distanti». Nel caso di Celan i resti di un corpo sono ancora presenti anche se disseminati nel territorio, ed è il tessuto sonoro a tenere insieme la figura. Nel caso di Zanzotto l’andamento poetico torna su sé stesso come una spirale e si consolida in ripetizione: come per Celan, il trapasso nella terra porta i personaggi zanzottiani a fondersi con la natura tramite movimenti retroattivi che aprono all’espansione. Questo ritorno porta a un incontro tra presente e passato che «cuce insieme» le persone-paesaggio tramite il termine Nähe, amplificato nella traduzione di Waterhouse, il quale indica tanto la vicinanza quanto il cucire: un esempio, questo, di come la traduzione possa non solo far rivivere l’originale, ma anche espandere il proprio Worthof, ovvero l’aura linguistica del nome. Il saggio segue un movimento fatto di contrasti apparentemente irrisolvibili, in cui è proprio l’opposizione di suoni a generare corrispondenze di nomi: la ripetizione per contrasti non genera equivalenze, ma rende possibile l’incontro.
La lettura genealogica di Waterhouse riflette un momento necessario dello studio sui testi: quello della riattivazione. Riattivare un testo vuol dire superare la monoliticità dello studio canonico sull’autore. Waterhouse ci insegna, infatti, che le parole non sono formule fisse, ma, al contrario, materia viva. Questa lettura proviene, non a caso, da un poeta-traduttore che, ponendo le poesie accanto – a canto – ad altre poesie, le fa agire nello spazio della lettura proprio come il compositore che, sollecitando lo strumento, ricerca e raggiunge l’unitarietà per slittamenti e frammentazioni tematiche, rivelando le proprie potenzialità contrappuntistiche.
Cosa è «futuribile» se non questo processo? L’espressione «futuribile», utilizzata da Andrea Cortellessa, primo studioso dell’opera di Zanzotto, implica l’indagine di sonorità apparentemente lontane, di cui è possibile continuare a ragionare rifuggendo da interpretazioni metaforiche delle poesie per orientare l’analisi all’osservazione delle relazioni, o meglio delle reazioni tra le parole. Ciò è possibile, perché la parola poetica è materia ardente che rivela tutte le sue potenzialità espressive proprio nel dialogo con l’altro che, aperto al confronto, può vedere illuminato il proprio e l’estraneo.
L’intero saggio di Waterhouse è un invito al dialogo tra poesie, tra poeti, che ci si augura possa diventare prassi nell’ambito degli studi letterari.
Nata in suolo ciociaro e adottata da mamma Roma. Fresca di laurea in traduzione pronta a lanciarsi nel mondo, non certissima di cadere in piedi. Nel tempo libero ricama e sogna di imparare tutte le lingue che le restano. La sua unica certezza: un libro (meglio se in tedesco), una scrivania e una finestra.