Non vogliamo vedere i ragazzini morire e non vogliamo vederli uccidere.
Che muoiano, in un racconto per ragazzi, è raro; soprattutto, che ne muoiano tanti. Sembra di tornare a quando infanzia, giovinezza e adolescenza non erano ancora state inventate, e la morte era un fatto umano tanto per i piccoli quanto per i «Grossi».
In Capitani della spiaggia di Jorge Amado, Gamba-Zoppa, un orfano della gang della spiaggia di Bahia, si butta da un dirupo con gli occhi fissi in quelli delle guardie che lo inseguono e alza il dito medio mentre cade.
Quando nella Compagnia dei Celestini di Stefano Benni gli orfani di tutto il mondo fuggiti per partecipare ai campionati di Pallastrada vengono ritrovati, alcuni muoiono in un agguato delle forze dell’ordine; per nascondere la morte di pochi, si decide di ucciderli tutti, i ragazzini, di cancellarli, e di dare poi alle fiamme il bosco dove si giocava la finale.
Nel nuovo libro di Domitilla Pirro, uscito per effequ a maggio, le forze dell’ordine costituito – i Grossi, i genitori, le istituzioni, gli adulti in genere – hanno sbagliato abbastanza già prima dell’inizio del romanzo e ora subiscono una doppia violenta vendetta: il pianeta che hanno maltrattato sta vivendo uno «shift» con la durata media della vita che si accorcia drasticamente, e ribaltati i rapporti di età e di forza viene il momento dei Nati Nuovi, dei ragazzini che uccidono i grandi – e si orfanizzano da soli.
Amado aveva scritto un romanzo realistico; Benni uno che virava come sempre al fantastico; Pirro costruisce unoyoung-adult post-apocalittico semi-dialettale rpg-oriented (che apre anche abbastanza chiaramente a un capitolo a venire). Era riuscita nel suo primo romanzo – Chilografia, finalista nel 2019 come libro dell’anno per Fahrenheit – a tenere insieme questi elementi con un dosaggio forse più armonico: anche in quel caso il gioco (The Sims) era un modo di dare regole più comprensibili a una realtà che sfuggiva alla protagonista, e anche lì potevamo leggere inserti della calata (“burina”) tipica dei luoghi – dei quartieri? dei comuni? – appena fuori da Roma, insieme al gioco sulle parole che connotava il gergo di una piccola comunità online. In quel caso, però, una trama maggiormente direzionata e un arco drammatico più teso aiutavano il lettore.
In Nati nuovi, la violenza dei ragazzini si presenta nella forma dell’«Innesco», una specie di menarca che segna sia i maschi che le femmine, e dopo il quale si acquisiscono forza e resistenza eccezionali. I Nati Nuovi uccidono i Grossi senza un motivo, e lo fanno con una strana violenza feroce e indolente insieme – un raptus che non sembra lasciare in loro particolari strascichi emotivi.
Lena, Rica, Vera, Gec, Gabri, Ari – i cinque–più-uno che fanno squadra nella post-apocalisse – si trovano a svolgere delle piccole missioni: entrare nel «Carfùr» per trafugare il cibo, cercare rifugio per la notte, resistere agli attacchi di una Nata Nuova malefica, la quattrenne Mia in sella a un cane di razza. Il linguaggio è quello ludico e videoludico:
«Il piazzale del Village sembra un livello facile di Ultra Clash Bros. […] Ma Gec sa che cosa tradisce, un’ambientazione così facile. Quando l’attraversi, due sono i cavoli: o partono scosse telluriche e il pavimento si spacca (e quindi l’ambientazione si dimostra tutto fuorché facile), oppure scopri che è il livello di un boss ancora da sconfiggere, un cattivo molto cattivo con le stat molto alte, praticamente imbattibile senza trucchi».
In Nati nuovi, l’inventività di Pirro ha forse troppa densità, non si scioglie e non si dilata: nello spazio di un solo paragrafo è possibile trovare corsivi, parentesi, parole sbarrate (Gesù sostituito da «J. Soo»), fuse («I Santi Pietreppàolo», «l’Augmentin dimmèrda», «i gabbiani magnaràtti»), pseudonimi («la Madonna del Mais», «la Fortezza»), sintassi nominale alternata a periodi più complessi.
L’effetto è hyperpop di provincia: le scene sono brevi e lo schema è ripetuto – piccole quest come livelli di un gioco – quasi per dialogare con la concentrazione ridotta che si associa a un giovane lettore iperstimolato, e si sente il ticchettio nevrotico del videogioco 8-bit: ma solo a volte il risultato è riuscito.
Effequ continua a pubblicare libri che, per fortuna, sconfinano: oltre il romanzo da tinello borghese, oltre una lingua al servizio del realismo, oltre le divisioni tra i generi e oltre i pregiudizi sui generi (in Crocevia di punti morti di Matteo Grilli era l’horror, qui lo young-adult), e si spera che la casa editrice arriverà a pubblicare anche romanzi gialli, rosa e neri. Questo perché la narrativa e i Saggi Pop di effequ (In altre parole di Acanfora, No di Gasparrini, La guerra dei meme di Lolli, Femminili singolari di Gheno) invitano alla consapevolezza del linguaggio in esercizi di fantastica che mostrano come con le parole e gli oggetti culturali si possa giocare (se li si conosce) e dare forma a qualsiasi reale.
Il libro di Pirro si inserisce in una challenge non facile: quella di farsi leggere e apprezzare anche dagli adolescenti. Toglie dal buio del non-raccontato il linguaggio del videogioco e soprattutto la violenza senza movente, la morte giovane ricevuta e data dai suoi ragazzini innescati. E, se anche certe soluzioni sembrano non registrate alla perfezione, si può dire di Nati nuovi quello che effequ vuole che si dica dei suoi titoli: era un libro che non c’era.
Vive a Roma, gira in bici, chiede spesso Qual è il tuo bar?