È con un horror, The Rental, che l’attore Dave Franco esordisce alla regia e, insieme a Joe Swanberg che ne cura la sceneggiatura, sfida tutte le complessità che questo genere serba. Gli ingredienti sono classici: due coppiette, uno chalet su una scogliera e l’uomo nero. Chalie, Michelle, Josh e Mina decidono di trascorrere un finesettimana in una casa stupenda che presto, già a partire dall’ambiguità del suo proprietario, rivelerà qualcosa di sinistro. In parallelo, le anomalie che emergeranno nelle relazioni fra i quattro forniranno la scintilla per lo sviluppo di tutta la narrazione orrorifica.
In forza del fatto che The Rental è un debutto in una categoria cinematografica così variegata, i cui successi e sfortune ne compongono una storia problematica, è utile ripercorrere i temi principali del film per tentare di giudicare la sua validità e credibilità.
La coppia (etero) è un grande classico dell’horror. La novità risiede nell’approfondimento di dinamiche affettive che altrove nel genere rimangono insondate, mentre qui concorrono a creare un’atmosfera ansiogena. In quest’ottica vengono citate e rese funzionali alcune questioni irrisolte del passato, passioni mai spente e il rapporto di consanguineità che intercorre tra i due uomini delle coppie. Franco e Swamberg si servono di una fortunata tendenza (in voga negli ultimi anni), quella dell’indagine introspettiva: le coppiette non sono mai soltanto esseri inermi in attesa che la trama si svolga, hanno invece un passato definito e una caratterizzazione precisa. Questa inclinazione verso l’intimo però non sempre risulta appropriata, troppo spesso si avviluppa intorno ai rapporti, amorosi e non; e le bugie e le rivelazioni all’interno di questo contesto sono sì verofunzionali, ma finiscono per avere un ruolo preponderante, tanto da allontanare troppo l’acme orrorifico. La sensazione di attesa diventa quasi fastidiosa e la tentazione di abbandonare la visione a metà è assai forte.
La casa è un motivo declinato in innumerevoli modi nella cinematografia horror e prendere le mosse da un’ambientazione così archetipica non è affatto semplice. A tal proposito, volendo distinguere due tendenze ricorrenti, si potrebbe parlare di casa intesa come dimora affettiva (vecchia o nuova) e casa come situazione momentanea. Lo chalet sulla scogliera di The Rental non appartiene a nessuna delle due categorie, perché se è vero che è principalmente un luogo di vacanza, è altrettanto chiaro per chi guarda che questa sia anche la casa di qualcuno. La percezione di essere degli intrusi, che le quattro mura, il tetto, le suppellettili contengano il vissuto di altri è resa alla perfezione e la rivelazione principale costituisce (come si avrà modo di capire) il fondo speculare di questa sfaccettatura.
Le scelte stilistiche messe in atto per restituire queste sensazioni agli spettatori sono interessanti ma, in alcuni casi, azzardate: come per esempio l’idea di introdurre filmati girati da telecamere sconosciute che subito trasforma la narrazione in un found footage di cui, forse, non si sentiva il bisogno. Il ruolo che la casa ricopre all’interno della costruzione estetica del film non è ben chiaro, né definito, tanto che infine, tradendo tutti i presupposti iniziali che sembravano presentarla come realtà pulsante di vita, si riduce a essere mera scenografia. In questo caso si è forse sacrificata una certa coerenza in favore del risvolto della trama.
L’uomo nero, figura minacciosa ma fantasmatica (latente, sfuggente, spettrale e prodiga di distruzione) che finisce per diventare esplicita (anche sessualmente), diretta: manifesta. Si potrebbe dire che in The Rental è la sua connotazione a salvare l’intera impresa. Si aggira nei dintorni della scena e del racconto per poi rivelarsi nella sua brutale efferatezza. Lo fa in una maniera totalmente “fisica”, rivelando l’originalità della sua ideazione. Il fatto che da entità astratta (che ci si aspetta come risoluzione necessaria) si mostri nella sua capacità reale di fare del male (splatter) ci permette di passare continuamente dall’horror al thriller e viceversa. Un subitaneo cambio di registro che non coinvolge solo la vicenda e la scrittura ma anche, a un livello più profondo, la cognizione che lo spettatore ha di quello che sta guardando. L’epifania sulla sua identità però cade preda della tendenza – così funesta per questo film – di introdurre significati troppo diversi e destinati a rimanere insoluti.
L’uomo nero non è solo un semplice minaccia della struttura del reale, fantasma masochista-paranoico del possibile fantasioso; ma una trasgressione intrinseca dell’universo simbolico orrorifico che ne rafforza la struttura in quanto simbolo antagonista generato da quello stesso universo. Franco e Swamberg se da un lato salvano la complessità di questo espediente, dall’altro lo caricano inutilmente di ulteriori e immotivati risultati.
Puntare sul classico potrebbe sembrare una via d’uscita facile, ma nel complesso ci si rende conto quanto sia difficile misurarsi con i grandi archetipi dell’horror. Questo genere, a differenza di molti altri, porta con sé una forte connotazione emotiva, trova cioè fondamento e sviluppo proprio nella sensazione di terrore piuttosto che nell’ambientazione (vedi le ricostruzioni storiche, ad esempio) o nella stratificazione dei personaggi (vedi i drama). Quello che è il suo punto di forza è anche la sua più grande debolezza: giocare tutta la riuscita sulla capacità dello spettatore di sospendere il proprio giudizio riguardo alla credibilità dell’evento è motivo di successo solo dopo una ben studiata successione di rivelazioni e colpi di scena. Si tratta quindi di un equilibrio precario in cui calibrare l’aspetto emotivo (che già di per sé è esasperato dalla situazione orrorifica), significa misurarsi con la reazione del fruitore dell’opera; a questi livelli di intensità così alti è facile cadere nella noia o peggio nell’ilarità. The Rental è un esempio in questo senso, ma paga lo scotto di doversi confrontare sia coi grandi horror del passato (di cui forse vuole essere tributo) ma anche con le pellicole dell’ultimo periodo (si pensi a The Witch, Midsommar, Us ecc.) che possono essere riportate come esempio di una sperimentazione più “naturale” e coraggiosa.
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