timidi messaggi copertina

Timide opere prime di scrittori skillati

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Ferruccio Mazzanti ha fondato più di una rivista, e scrive su altre ancora che – ammettiamolo – hanno molto più swag di quella che state leggendo (scusa, Marvin). Timidi messaggi per ragazze cifrate è la sua (ragionata) opera prima, pubblicata da Wojtek Edizioni.

Forse qualcuno di voi, appena uscito dall’orale dell’esame di maturità, avrà pensato: «Ora mi piazzo sul divano e non mi schiodo manco con le bombe!». Ecco: Grot, il nostro protagonista, sembra aver preso questo proposito terribilmente sul serio, dato che non esce di casa da 1245 giorni. È infatti un ritirato sociale, un hikikomori, per usare una parola che ormai tutti conosciamo, e che sentiamo sinistramente vicina (qui cessano i riferimenti a confinamenti vari e le battute sul fenomeno). Grot vive in un appartamento con la madre, che esce la mattina presto e rientra alle «23 e vaghezza», lasciandogli così la casa libera per vedere la TV, cucinare schifezze eclettiche (seguendo un’interessante teoria di mescolamento dei sapori) e giocare ai videogiochi, il tutto con regolarità benedettina. Alla fine della giornata, pulisce e riordina ossessivamente l’appartamento in modo da eliminare ogni sua traccia, per poi chiudersi nella sua camera serrando i chiavistelli. Quando la madre torna a casa, batte tre colpi sulla sua porta: i tre colpi che riceve in risposta sono l’unica comunicazione concessale da Grot, per assicurarle che è vivo, e sta bene. Anche solo questo scambio, per chi vi scrive, è una buona ragione per leggere Timidi messaggi.

Grot è certo di avere un’orribile deformazione cranica che lo rende assai poco piacevole e un carattere detestabile, tutto l’opposto di Rotwang, il prestante e affabile ex-compagno di classe che, con il suo «ciuffo di venticinque centimetri», ossessiona la mente del nostro eroe (crani e Chad: Mazzanti nel costruire il suo protagonista pesca dall’immaginario incel – per usare un’altra parola in voga). Attraverso uno strano  dialogo tra una sua ex-compagna di classe e un interlocutore sconosciuto le cui battute sono state sostituite da punti di sospensione , veniamo a sapere che forse Grot non era poi così indesiderabile, e che era considerato piuttosto intelligente. In effetti, la voce di Grot, la prima persona narrante, è caratterizzata da uno stile alto, e appare a suo agio con ostiche metafore matematiche («Brigitte Helm e la curva algebrica di quinto grado delle sue spalle»), due cose che di norma non si addicono a un ragazzo ventunenne che non frequenta neanche l’università. Queste caratteristiche non sono però ingiustificate, dato che oltre al cazzeggio video-ludico, Grot dedica le sue giornate alla scrittura di molte lettere cifrate, indirizzate alle tante ragazze che vede su Internet e di cui si innamora.

Quello della crittografia è il tema centrale del libro, su tutti i livelli. Anzitutto sul piano formale, perché il romanzo è costellato di testi che dovremo imparare a decifrare, inizialmente aiutati dalle traduzioni poste in nota e da semplici “tutorial”, in cui Grot ci rende familiari con i metodi dei grandi crittografi della storia. Ma, come spiega in un’intervista lo stesso Ferruccio Mazzanti, qui la “forma” è tutta al servizio del “contenuto”, così che la presenza di queste parole incomprensibili diviene una metafora (portentosa, efficace) per rappresentare il nostro uso del linguaggio, il modo in cui comunichiamo con l’altro e stiamo al mondo (queste due sono la stessa cosa? Una domanda troppo grande per una modesta recensione).

Un protagonista hikikomori è un meccanismo narrativo micidiale, e lo stesso vale per i messaggi criptati. È ovvio infatti che prima o poi bisognerà avventurarsi fuori di casa, e che fatalmente qualcuno decifrerà quelle lettere, perciò si è naturalmente trascinati a proseguire la lettura, per scoprire quando e come ciò avverrà. L’attesa uscita (o ingresso?) nel mondo di Grot imprimerà una netta accelerazione al corso degli eventi, e la scrittura si farà più febbrile e nevrotica.

Timidi messaggi è contraddistinto da una pletora di trovate stilistiche (testi cifrati, dialoghi a una voce, disposizioni grafiche inusuali) e da una trama che si scopre sempre più complessa e articolata (e che se fossi ancora adolescente non esiterei a definire una trama da mind game). Per questo, a seconda dei punti di vista, lo si può considerare un libro molto intelligente, o un’opera prima in cui la voglia di impressionare ha spinto l’autore a metterci molto più del dovuto. Probabilmente sono vere entrambe le cose.