Prima di parlare di Space Force, ritengo necessario fare una premessa personale: dopo aver visto tutto Space Force sono entrato profondamente in crisi su quanto fosse più o meno giusto confrontarlo con gli altri lavori di Greg Daniels. Per chi non lo conoscesse, Greg Daniels è la mente dietro alcuni tra i più brillanti prodotti televisivi comici come The Office, Parks and Recreation, ma anche della serie animata King of the Hill. Il tratto distintivo di ciascuna di queste sitcom è lo stile di comicità, basato, per semplificare, sulla disinvoltura di alcuni personaggi nel generare situazioni paradossali e demenziali, durante le quali lo spettatore si immedesima nell’imbarazzo di quei personaggi razionali – o per lo meno più sobri – che assistono.
Tutta questa lunga premessa serve a dire che Space Force non ha questo tipo di ironia e nonostante crei situazioni imbarazzanti, queste vengono gestite in maniera diversa. Un cambio di rotta che potrebbe destabilizzare lo spettatore che si è, comprensibilmente, avvicinato alla serie perché pubblicizzata con la frase di lancio: “dal creatore di The Office e Parks and Recreation!”. Questo slogan rischia di rappresentare un limite per la fruizione.
Fatta la seguente premessa, proviamo per il momento a dimenticarci tutto quello che sappiamo già e abbiamo letto finora e parliamo di Space Force.
Mark R. Naird (Steve Carell) è un generale dell’esercito degli Stati Uniti incaricato dalla Casa Bianca di dirigere il progetto Space Force, un nuovo corpo che in collaborazione con scienziati ed esperti si occuperà del dominio sullo spazio e della colonizzazione della Luna. Nel trasferirsi da Washington a una minuscola cittadina del Colorado vicino alla base operativa, i rapporti con la famiglia del generale si complicheranno: la moglie commetterà un non meglio specificato crimine grave abbastanza da farla rimanere in carcere per quarant’anni, la figlia diciottenne mal sopporta la nuova vita e fatica a integrarsi. Naird è aiutato nel suo compito da una sgangherata squadra formata dal freddo Dr. Mallory (John Malkovich) e dal suo assistente il Dr. Chan (Jimmy O. Yang), il petulante social media manager Tony Scarapiducci (Ben Schwartz) e la volenterosa pilota Angela Ali (Tawny Newsome) che sogna di diventare astronauta. A opporsi lungo la strada della Space Force non ci sarà soltanto la loro stessa incompetenza e imbranataggine ma anche la Cina, che fin dall’inizio darà filo da torcere alle operazioni, in una nuova e spietata corsa allo Spazio.
La prima cosa che salta all’occhio è l’altissima qualità tecnica: Space Force ha una fotografia e una regia di livello cinematografico. L’altro aspetto rilevante è l’attualità dei temi trattati: nel corso degli episodi emergerà tutta la crisi tra Cina e Stati Uniti, l’impossibilità del mondo scientifico di mettere da parte l’arrivismo e l’egoismo per lavorare insieme per il bene dell’intera umanità, le spese sconsiderate degli Stati (in particolare degli Stati Uniti negli armamenti), il rapporto con i social network e le fake news. Alcuni di questi sono temi ricorrenti, altri sono il topic di una singola puntata, ma tutti quanti vengono affrontati in maniera brillante e sagace.
Per quanto riguarda i tempi di narrazione, purtroppo, la stagione non è gestita al meglio: tra la prima metà e la seconda il ritmo cambia in modo troppo repentino. Se all’inizio infatti si procede con calma, permettendo ai personaggi di prendersi i loro spazi, nella seconda parte il ritmo diventa più incalzante e molto più focalizzato sulla missione e sul conflitto con la Cina. Il tutto è, bene inteso, giustificato perfettamente nella trama, quel che però si verifica è che molte sottotrame vadano a troncarsi più che a chiudersi e altre vengano aperte e risolte in pochi minuti quando ormai si è agli sgoccioli dell’ultimo atto e la concentrazione è tutta sulla trama principale. Anche il finale, che volutamente lascia spazio e speranza per stagioni future, è un po’ troppo sbrigativo e tirato via.
Un’altra fragilità di questa serie sta nel ritmo: occasionalmente Space Force perde colpi, spesso fossilizzandosi in trovate il cui tempo comico si è già esaurito. Ora però, siccome è impossibile considerare ogni lavoro di un autore come un’opera a sé stante, è il momento di riprendere la premessa iniziale e i cavalli di battaglia sopracitati, perché chi più di tutti potrebbe accusare quest’ultima fragilità sono proprio i fan più fidelizzati. Seppure demenziale (con qualche occasionale caduta di stile a dire il vero) e ricco di situazioni imbarazzanti, Space Force ha tutto un altro ritmo. Per fare un esempio, le situazioni imbarazzanti non sono spinte al limite del grottesco come in un The Office, dove la risata è alimentata dall’incredulità e assume i caratteri di una risata esasperata; in Space Force la situazione comica è circoscritta, spesso contenuta in una singola battuta.
Forse l’aspetto più interessante è proprio la scelta dello scenario. Un’unità dell’esercito piena di incompetenti o disadattati? Nulla di nuovo, intendiamoci, l’esercito lo si prende in giro da sempre, ma c’è comunque del particolare. La forza dei lavori televisivi precedenti risiedeva in grandissima parte proprio nella mediocrità dell’ambiente stesso, mentre rendere una base di lancio per colonizzare la luna un manicomio sfianca molto di più la soglia d’incredulità dello spettatore, anche se ne guadagna nel messaggio. È infatti possibile che qualcosa che per decenni ha stimolato la nostra immaginazione, come la conquista dello spazio, possa essere così poco interessante per l’individuo medio del 2020? Ricordiamoci quanto “fare l’astronauta” fosse considerata un tempo la massima e ingenua aspirazione di un bambino.
Proprio per riflessioni di questo genere, Space Force non ha una comicità inferiore, anzi. Alcune gag sono ben costruite, sottili e, come già detto, con molti richiami all’attualità e quindi più godibili. C’è molto di più di The Office o Parks and Recreation in Space Force che non viceversa; è semplicemente un prodotto più inquadrato nella grande produzione comica americana.
Avviandoci verso la conclusione ci si chiederà: “Ma quindi questa serie merita di essere vista?”
Sì, merita. Non è un capolavoro, non è innovativa, ma è una buona, solida e intelligente commedia americana, e questo è il suo pregio quanto il suo problema.
È molto difficile avvicinarsi a una serie scritta da Greg Daniels e con protagonista Steve Carell, che dal trailer aveva tutte le premesse per essere la storia di Micheal Scott in mimetica, e fare tabula rasa di ogni aspettativa, ma è giusto permettere agli autori di provare strade diverse. L’unica cosa che dispiace è che questo prodotto più che a una sintesi tra due stili somigli a un ritorno a scuola o a banalmente ai vecchi modelli.
La commedia lanciata da Greg Daniels e da altri autori, come il collega Michael Schur (Brooklyn Nine-Nine e The Good Place insieme alle altre già citate), Ricky Gervais e tanti altri sta prendendo piede come un nuovo stile, effettivamente, vincente; in effetti, proprio per questo una serie come Boris ci suona molto poco italiana.
Se Space Force sia stato un tentativo di sintesi, per portare sugli schermi una commedia più classica ma arricchita – potremmo dire corretta con una dose di follia – non si sa per certo. Quello che posso consigliare è di dimenticarsi, purtroppo, dei cult che lo precedono e concedere sempre il beneficio del dubbio, principale salvagente degli autori che decidono di rischiare buttandosi in qualcosa di diverso.
Davide Cuccurugnani nasce a Roma il 10 giugno 1994. Ha lavorato come redattore per riviste online nel settore musicale e teatrale. Attualmente si occupa di mettere su carta le centinaia di idee che gli passano per la testa sotto forma di racconti, sceneggiature, drammi teatrali e altri deliri artistici.