The Vast of Night: fantascienza vintage

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È stato scritto molto riguardo l’incapacità della fantascienza contemporanea di immaginare nuovi futuri e scenari diversi dalla realtà che ci circonda. Ebbene, non è dall’opera prima di Andrew Patterson, The Vast of Night (L’immensità della notte in italiano) che ci si deve aspettare alcuna novità su questo fronte. È anzi un film di genere che più non si potrebbe, e, come ormai di regola, prodigo di citazioni e omaggi manifesti.

Siamo a Cayuga, New Mexico, alla fine degli anni 50. Quasi tutte le 497 anime del paese si sono riversate nella palestra della scuola per la prima partita della stagione di basket. Attraverso un bel piano sequenza facciamo immediatamente conoscenza di Everett (Jake Horowitz), il giovane presentatore della radio locale, che ha l’aspetto di un nerd ma sfodera di continuo battute in slang degne di un personaggio di Linklater (citato dallo stesso Patterson) e, poco dopo, della teenager Fay (Sierra McCormick). I due nascondono (senza alcun motivo) un trombone in un armadietto e prendono a giocare con un registratore a nastro nel parcheggio fuori dalla palestra, intervistando il pubblico che accorre per assistere al match. Come forse potevamo già intuire dai dialoghi serratissimi dei primi dieci minuti, l’intero film avrà molto a che fare con la voce dei personaggi e con gli strumenti che la catturano, la modulano e la diffondono. Everett e Fay non assisteranno alla partita, hanno altro da fare: lui deve tenere il suo programma radiofonico, lei ha il suo turno di operatrice al centralino del telefono. L’ora e mezzo secca del film coinciderà con la durata del match e delle avventure che li attenderanno, lasciando da parte i “normali”, che partecipano all’evento sportivo.

Prima che i due si separino, ci viene offerto uno dei dialoghi più significativi del film. Fay racconta a Everett di certi articoli che ha letto sulla rivista Modern Mechanix (è lei la vera nerd) in cui si prefigurano alcune delle tecnologie più strabilianti che verranno introdotte nei prossimi decenni. Macchine che si guidano da sole, treni sotterranei a levitazione magnetica e perfino schermi “lillipuziani” in cui si potranno vedere amici dall’altra parte del mondo. Questo è davvero un film da cui è escluso qualsiasi futuro alternativo: perfino le previsioni più difficili e rischiose sono comicamente e paradossalmente esatte.

Ciò che risalta di più in quest’opera è il grado in cui essa si affidi al racconto orale, al punto da lasciar proseguire per cinque interi minuti una voce su schermo nero che narra un episodio avvenuto molti anni prima. Viene in mente Locke, il film di Steven Knight in cui Tom Hardy non fa altro che guidare un SUV e parlare al telefono con personaggi che non appaiono mai. Per altri versi sembra un omaggio ai grandi sceneggiati radiofonici di un tempo, e oggi potremmo quasi immaginarlo nella forma di un podcast davvero ben riuscito. Si capisce che Patterson doveva avere un budget piuttosto limitato, e in questo senso The Vast of Night ha davvero colpito nel segno: dopo essere stato accolto con favore allo Slamdance e nell’usuale giro di festival, fra cui quello di Roma, il film ha attirato l’attenzione di Steven Soderbergh ed è stato finalmente comprato e distribuito da Amazon, garantendo così visibilità al regista che, siamo sicuri, in futuro potrà meritatamente misurarsi con produzioni più ricche.

Patterson si preoccupa qui di mostrare anche tutto il suo arsenale di espedienti tecnici. Fra questi, i frenetici short cuts à la Guy Ritchie, che evidenziano gli altrettanto frenetici movimenti di Fay ed Everett, associati a cavi, manopole, nastri e levette di strumenti ormai obsoleti quali il centralino telefonico e il quadro della stazione radio (la cui scrupolosa riproduzione ha impegnato vari musei e collezionisti). 

È proprio da un’interferenza al telefono, e dalle testimonianze che arrivano al centralino di Fay, che veniamo a sapere che “c’è qualcosa nel cielo”. La trama proseguirà sui binari rodati del film di Ufo, con riferimenti all’area 51 e all’incidente di Roswell. Nonostante manchi di una vera e propria costruzione della suspence o di qualunque tipo di epicità a cui ci hanno abituato i blockbuster del genere, il film riesce a mantenere sempre vivi i ritmi e l’attenzione dello spettatore.

L’inquadratura iniziale di una tv anni ’50 annuncia, sulle note della suggestiva colonna sonora psichedelica, che stiamo per assistere a un episodio del programma Paradox Theater, un chiaro riferimento a Ai confini della realtà. Molto di quello che c’è da dire su quest’opera prima, in senso positivo e negativo, è che, al di là delle ingegnose soluzioni tecniche, The Vast of Night sembra davvero un bel film tv d’epoca, con tutta l’asciuttezza e l’equilibrio che li contraddistinguono. Il che lo rende certamente non un capolavoro, ma un’ottima alternativa lo-fi ai blockbuster o ai veri episodi delle serie on demand.