Premessa necessaria: il titolo non è scritto in inglese perché fa fico (appurato che qualcuno ancora creda che scrivere qualcosa in inglese faccia fico a prescindere dal suo significato), ma perché è una citazione di questo saggio qui, del quale, nonostante il notevole interesse contenutistico, non parleremo e con il quale non stabiliremo alcun tipo di relazione. Perché oggi siamo impegnati in ben altre analisi e storie, che riguardano il nuovo romanzo di Ben Lerner: Topeka School.
Ben Lerner, in pillole, è un poeta e romanziere americano che ha esordito con una raccolta di 52 sonetti dal titolo Le figure di Lichtenberg (pubblicato in Italia da Tlon, 2017), ha scritto due romanzi, Un uomo di passaggio (Neri Pozza, 2012) e Nel mondo a venire (Sellerio, 2015) – il primo finalista al National Book Award – un saggio, Odiare la poesia (Sellerio, 2017), e nel 2019 è uscito con questa terza opera, pubblicata nel 2020 da Sellerio nella traduzione di Martina Testa, localizzata in quel di Topeka, una cittadina dello Stato del Kansas, ipertrofico e incazzatissimo red state, tra anni ’80 e ’90.
Il protagonista è Adam Gordon, lo stesso Adam Gordon dell’Uomo di passaggio, che, se in quest’ultimo romanzo era un poeta americano delocalizzato in Spagna e impelagato nelle ragnatele linguistiche del suo, e altrui, linguaggio, in questo è uno studente dell’ultimo anno della Topeka High School, particolarmente abile nelle gare di oratoria. La madre e il padre (Jane e Jonathan) sono due illuminati psicologici della Fondazione, un’illustre clinica psichiatrica progressista dove le relazioni tra pazienti e dottori sono al limite del comunitarismo. Nello specifico, Jane è una celebre autrice di saggi di stampo femminista, mentre il padre è uno psicologo interessato alle deformazioni glossolaliche del linguaggio. Come detto in precedenza, Adam è invece un campione dell’oratoria – disciplina del dibattito pubblico dalle molteplici specialità e livelli di competizione – ma è anche un ragazzo che scrive poesie, e che utilizza questa sua predilezione, impastandola con l’abilità di cui sopra, per assumere un peso sociale tra i suoi coetanei durante occasionali gare di freestyle. All’interno del romanzo le voci dei tre si alternano, saltando anche dalla prima alla terza persona, spezzate da interludi a proposito di Darren, ragazzo con problemi cognitivi e comportamentali che soffre il rifiuto sociale da parte del branco, ovvero i ragazzi della Topeka High School. Una volta entrato a farne parte, Darren non riuscirà comunque a gestirne i meccanismi, a comprenderne i codici, i riti di accettazione turgidi di mascolinità tossica, rendendosi protagonista di un evento che, scoccato a inizio romanzo, viaggerà come una freccia lungo tutta la storia.
E «fino a qui tutto bene», come direbbero quelli dell’Odio.
Solo che.
Per comprendere a fondo il romanzo di Lerner questo non basta. Perché Topeka School è anche e soprattutto un’opera sulla frammentazione linguistica, narrativa e temporale, funzionale alla descrizione del fenomeno della glossolalia che, spalmata su vari strati di significato secondo dosi consigliate, riesce a bucare gli stessi piani linguistici, narrativi e temporali, colando dentro il romanzo come un acido.
Partiamo dal piano numero uno, perché le cose si fanno per ordine, ma anche perché, come dice Adam (in parte alter biografico di Lerner) questo romanzo costituisce «una genealogia del proprio modo di parlare, e dei suoi aspetti più estremi». Tra le discipline dell’oratoria, il ragazzo è particolarmente talentuoso nella pratica dell’asfaltatura, o overkill verbale. Questa abilità consiste – all’interno di una competizione nella quale vengono assegnate a un oratore le tesi PRO su un particolare tema («Il governo federale dovrebbe adottare un pacchetto di misure che riducano in maniera sostanziale la criminalità minorile negli Stati Uniti») e a un altro quelle CONTRO – nel presentare più argomentazioni possibili, in modo che la squadra avversaria non abbia, in occasione del suo turno, la possibilità di confutarle una per una, perdendo punti preziosi.
L’aspetto interessante di questa pratica, oltre al riferimento lucido all’abitudine dell’asfaltatura nel dibattito pubblico odierno, è di essere veicolo d’accesso per Adam a una specie di linguaggio dietro il linguaggio. «Mentre enumerava in sequenza sempre più veloce i vari imprevedibili modi in cui l’applicazione della proposta degli avversari avrebbe condotto all’olocausto nucleare […] Adam superò, come spesso gli accadeva, una soglia misteriosa. Cominciò a sentirsi non tanto come se stesse tenendo un discorso quanto come se un discorso stesse tenendo lui, come se il ritmo e il tono della sua esposizione stessero cominciando a dettarne i contenuti […]. Si trovava comunque più nel regno della poesia che della prosa». Adam, in questo caso, accelerando l’eloquio fin quasi a surriscaldarsi, fa esperienza di prosodia, di un ritmo poetico che è suono ancor prima, o subito dopo, di significare qualcosa.
Questa è solo una delle dimostrazioni di frammentazione del linguaggio, rottura di una continuità, che Lerner espone all’interno del romanzo. Infatti, se da un lato la padronanza del lessico può condurre a una muscolare prova di sopraffazione, allo stesso tempo può diventare strumento di incisiva comunicazione transgenerazionale (tra Adam e i genitori), così come strategia di sopravvivenza sociale. «La poesia diventava giustificabile se migliorava il tuo stile, se diventava cerchio del freestyle e flow […]. Se la maestria linguistica poteva causare danni e farti scopare, allora si poteva integrare nella sfera sociale degli adolescenti senza distaccarsi completamente dai valori familiari dell’intelletto e dell’espressione. Non era una riconciliazione, ma una tensione sostenibile».
Il tema della presenza dentro un unico individuo di numerosi universi linguistici, a volte celati alla persona stessa, viene affrontato anche attraverso la figura del padre di Adam, Jonathan, impegnato in esperimenti di speech shadowing, tecnica per la quale a un soggetto viene richiesto di ripetere le parole di una registrazione qualsiasi (nel romanzo, un manuale di scuola guida preregistrato) senza soffermarsi sul contenuto. Mentre il soggetto ripete, lo psicologo aumenta gradualmente la velocità del nastro, e l’individuo, ancora convinto di seguire il brano registrato, inizia a farfugliare vocaboli disarticolati. Jonathan dirà, a proposito di uno dei suoi casi di studio, che «se ne stava seduto lì come se niente fosse mentre sprofondava – o si elevava? – verso la glossolalia». La teoria che Jonathan elabora è che, sovrapposti a un carico di informazioni eccessivo, i meccanismi verbali vengano meno, come un glitch, producendo un errore fatto di suoni.
Però.
L’autore ci comunica allo stesso tempo, tramite le parole di Jane, la madre di Adam, che «finché c’è linguaggio c’è elaborazione». Allora viene da domandarsi: quale realtà sta elaborando questo linguaggio glossolalico?
Martino Gozzi, parlando di Topeka School nella puntata di Fahrenheit, afferma che quella descritta da Lerner è una realtà «al di sotto della quale scorre un fiume di insensatezza». Il contesto sociale di Adam è infatti quello dei «ragazzi perduti figli del privilegio», gaudente prole dei baby boomers, rinchiusi all’interno di un parco divertimenti chiamato Stati Uniti, goliardico e crudele senza soluzione di continuità. Lerner, attraverso la figura di Klaus, acuto psicologo della Fondazione, delinea con precisione i tratti di questi ragazzi perduti. Klaus, da una parte «non riusciva a prenderli sul serio – coi loro frigoriferi pieni, l’aria condizionata e la televisione; cosa c’era di più ovvio del fatto che non sapevano cosa fosse la sofferenza, o del fatto che se soffrivano di qualcosa era proprio della mancanza di sofferenza». Dall’altro lato, però, lo stesso Klaus li prende anche sul serio: «si sentono dire di continuo, dalla cultura in cui sono immersi, che sono individui anche belli tosti, ma in realtà sono svuotati, isolati, uomini di massa senza una massa, anche se non sono uomini, ovviamente, ma ragazzi, eterni ragazzi, Peter Pan, uomini-bambini, perché l’America è un’adolescenza senza fine». Quella di Klaus, e di Lerner, è dunque una verità che accetta il suo inverso, in collisione con i principi di non contraddizione, del terzo escluso e via dicendo. «Il contrario di una verità è una menzogna; ma il contrario di una verità profonda può darsi che sia un’altra verità profonda» dice Klaus, citando Bohr.
La Topeka descritta da Lerner è la versione in scala di un’America infestata dalle villette a schiera, popolata da cittadini dotati di un unico «volto collettivo», isolata dentro scantinati vitalizzati da feste a base di alcol e imitazioni scadenti di guerre tra bande, annientata dalle megastrutture dei centri commerciali e dei supermercati. All’interno di questo quadro la glossolalia dal piano linguistico si sposta su quello narrativo e sulla rappresentazione di una realtà scoppiata tra eventi e oggetti sempre più numerosi, eppure eternamente uguali a sé stessi. «In ogni casa c’era lei o una persona come lei nel suo letto, addormentata o a far finta di dormire: i legali responsabili erano in fondo al corridoio, gli uomini di grossa corporatura russavano; le facce e le pose nelle foto di famiglia sulla mensola potevano cambiare, ma appartenevano tutte alla stessa grammatica di facce e pose».
Dentro a un supermercato, invece, Adam sente, mentre è alla ricerca degli integratori a base di creatina per accorciare i tempi del recupero muscolare, di venire inghiottito dall’innumerevole quantità di confezioni presenti in una sola corsia, percependo «il sublime dell’intercambiabilità, banale ma numericamente vertiginoso. Essere un soggetto in quel luogo significava essere asfaltato dagli oggetti». La realtà che Adam riesce a interpretare, fino a percepire i linguaggi degli stessi prodotti e comprenderne la poetica, è costellata di oggetti che collassano su soggetti, che aumentano la stratificazione dei piani del reale, riducendo la linearità. Questo discorso verrà ripreso, quasi in chiusura di romanzo, quando Adam, per certi aspetti maturato, in occasione della competizione statale di oratoria si scaglierà contro l’avversario, paragonando la tecnica dell’overkill verbale dello sfidante a una cieca dedizione alla crescita economica, dipendente «dall’idea che il più equivalga sempre al meglio, nell’accumulazione a tutti i costi».
La glossolalia linguistica diventa dunque anche testimonianza di una realtà costellata di volti ed eventi collettivi, che si ripetono all’infinito, e, per questa ragione, possono accadere in qualsiasi spazio e tempo, come in un eterno loop.
Il terzo strato glossolalico, dopo quello linguistico e narrativo, è infatti quello temporale, e l’interludio del personaggio di Darren è particolarmente funzionale allo scopo. La sua è la storia di una vita minima, costellata di soprusi e mancate integrazioni, che raggiunge l’apice in occasione di una festa dei ragazzi bianchi e perduti, dai quali è stato finalmente accettato. Nello scantinato si svolge una colluttazione che segna la vita di Darren, così come quella di Adam, tracciando un evento che non rimane rinchiuso nel passato, ma straripa nel presente come nel futuro, frantumandone i contorni. «Quello che Darren non riusciva a fargli capire era che lui non l’avrebbe lanciata, solo che l’aveva lanciata da sempre […] La palla da biliardo era già sospesa in aria, a ruotare lentamente. Come la luna, era lì da tutta la sua vita». Il tempo di Lerner è attraversato da un passato che collassa sul presente, mescolandosi e frapponendosi a esso, plasmando un ambiente narrativo dove accadono troppi eventi simultaneamente, e la continuità temporale frigge.
Questa scelta, oltre a tradurre temporalmente l’ingolfamento glossolalico dei piani linguistico e narrativo, è anche un affilato strumento di analisi dei personaggi. Jane riesce infatti a vedere il figlio davanti a lei, durante una cena al ristorante, passare attraverso tutte le sue età, come se stesse compiendo un accurato lavoro dendrocronologico: «era un neonato nella culla, protetto da mio padre […]. Uno scolaretto della Montessori che sviluppava speciali poteri. Privo di sensi dopo la commozione celebrale al St. Francis. Incapace di recitare “La Mucca Viola”. Intento a scandire rime su troie e cannoni».
E poi, se uno non si fida di Ben Lerner, un concetto simile l’ha espresso anche il Dottor Manhattan, autentica autorità nel campo, in Watchmen. «Il tempo è simultaneo. Un gioiello dalla struttura complessa che gli umani insistono a guardare un lato per volta, quando il suo insieme si può scorgere in ogni faccia».
In conclusione, la conclusione, come nel libro, non c’è.
Topeka School è un romanzo che cerca il cortocircuito linguistico, narrativo e temporale, e lo trova. Abbattere la continuità non è solo una scelta letteraria, espressione in forma scritta di un non sequitur logico, ma significa rappresentare una realtà che è essa stessa un non sequitur. Lacan diceva che «la realtà è dove s’inceppa», e questo è quanto.
Redattore di Marvin, scrive racconti, poesie, articoli di approfondimento culturale e contributi sul tema dei future studies. Appassionato di cinema horror e B-movies, ha sviluppato un feticismo per Sharknado, per il quale è attualmente in cura.