Amarsi e sopravvivere in America

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«Questo non è un saggio né un racconto pieno di autocommiserazione su quanto sia difficile essere neri in America. È solo un maldestro tentativo di descrivere quel lento oscillare tra vita e morte di un adolescente nero nato sotto il cielo del Mississippi».

Per quale motivo leggiamo? Alcuni leggono per riconoscere sé stessi nelle vite degli altri – una sorta di auto-riflessione letteraria vagamente narcisistica, altri leggono per fuggire dalla propria vita, per distrarsi, per viaggiare. Quest’ultima è la lettura innocente, squisita, di quando avevo quattordici anni, quando pensavo che ogni luogo fosse meglio di quello in cui stavo, e che chiunque fosse meglio di chi ero io. Poi ci sono quelli che leggono per interrogarsi, per sentirsi a disagio, per scoprire l’altro, il diverso da sé, le sue idee, e il suo modo di vedere un mondo che non sembra corrispondere al loro: ecco, Come uccidersi e uccidere in America di Kiese Laymon, edizioni Black Coffee, traduzione di Leonardo Taiuti è per questa categoria di lettori ‒ quelli che leggono per mettere tutto in discussione.

Sono passati due anni dall’omicidio di George Floyd, e dopo lunghe letture e riflessioni personali mi sembrava di essermi accomodata nella convinzione di capire, anche solo vagamente, cosa significhi essere neri in America. Credere di sapere qualcosa è molto pericoloso, perché di rado è vero. È stato molto bello leggere Come uccidersi e uccidere in America, perché mi ha ricordato (come spesso accade quando leggo) quanto poco io sappia davvero, e in particolare in questo caso dell’America, e di quanto sia distorta, romanticizzata e semplicistica l’idea che noi italiani abbiamo della cultura americana, delle sue brutture e delle sue terribili contraddizioni.

Laymon dichiara dalle prime righe che il suo libro non è un saggio su quanto sia difficile essere neri in America ‒ e in parte mente, perché è chiaro che questo sia un tema non marginale. Ma il suo intento in questa raccolta è più sottile: Laymon sembra cercare di decostruire la sua identità di vittima del sistema, per arrivare in qualche modo a capire cosa lo ha reso chi è, nel bene e nel male, e quanto di ciò che ne compone la persona, il carattere, la creatività, e la scrittura, abbia a che fare con l’essere nero in America, e più nello specifico, essere nero in Mississippi. Laymon è nato in questo Stato, e vi è legato in modo indissolubile, perché quel luogo tiene insieme tutto ciò che lo rende uno scrittore: le donne che lo hanno amato, in particolare sua nonna, la musica rap, certi odori, la pesantezza dell’aria, e una rabbia inestinguibile che lo accompagna. All’interno di questa raccolta di saggi, Laymon va e viene dal Mississippi, perché non può starne lontano, nonostante sia terribilmente difficile viverci se sei nero. Non solo per le bandiere confederate appese fuori dalle case, non solo per il costante pericolo di essere uccisi a sangue freddo, di non poter tirare fuori le sigarette dalla tasca, ma anche e soprattutto perché culturalmente i neri in Mississippi non hanno lo spazio per sviluppare la capacità di scelta tra sano e malsano, tra amore e paura. Laymon sente sulla propria pelle un’indole autodistruttiva, un grumo di rancore e dolore, gli stereotipi interiorizzati che gli impediscono di esprimere i propri sentimenti in modo costruttivo, che lo portano spesso ad agire contro sé stesso, che ingabbiano la sua rivoluzionaria vulnerabilità.

C’è un modo di essere vittima del sistema ma non vittima di sé stessi, un modo che Laymon stenta a cogliere ma che osserva in sua nonna, che ogni giorno si lavava, profumava e vestiva di tutto punto per andare a disossare i polli in una fabbrica. Tornava a casa e la puzza di interiora le era entrata sotto la pelle. Lei la strofinava via, e il giorno dopo tornava a lavoro, pulita e profumata. Quella pratica quotidiana – pulirsi e poi sporcarsi – la elevava e il profumo la faceva sentire nel suo corpo. Il nipote la osservava senza capire quell’atto, non tanto di resistenza, ma di amore per sé stessa. Prendersi cura di sé: un altro concetto rivoluzionario che gli uomini neri in America non hanno potuto permettersi.

Nessuno sembra interessato a farlo uscire da questo vortice, perché a tutti conviene che i neri restino a terra, che il loro talento resti in potenza, non applicato, non coltivato, non maturato. Il talento, la creatività prorompente, l’invettiva, la rabbia rivoluzionaria dei neri deve essere tenuta al guinzaglio, e quindi ben venga l’insicurezza, il terrore di fallire, la stitichezza emotiva. In uno dei saggi che compone il libro, Sei la seconda persona, in cui si parla di editoria, emerge che il cinismo del sistema editoriale americano è un perfetto connubio di finto perbenismo e liberalismo estremo. I lettori bianchi, spiega il suo primo editor, Brandon, sono stanchi di leggere scrittori neri che si giocano la carta della razza. Gli uomini neri non leggono, fa notare, quindi è ai bianchi che devi piacere, o alle donne nere di classe media. «Guarda Tarantino, ad esempio. Sta per fregarli tutti, quella gente uscirà dal cinema convinta che Django sia un film sui neri. E invece te lo garantisco, alla base di quasi ogni scena c’è una bianchezza imbarazzante. È quello il modello cui dovresti ispirarti». Layton stenta a capire cosa gli viene richiesto, e finisce sballottato per anni in nuove versioni di un romanzo che lui non vorrebbe modificare, trascinato in fondo ai programmi, poi cambia editor, viene di nuovo illuso e deluso. Tutti sembrano sapere meglio di lui cosa significhi essere un “vero scrittore nero”. Per lui, significa semplicemente scrivere.

L’autore fa fatica, insomma, a lavorare, a scrivere ed essere pubblicato, ad andare agli eventi mentre la gente muore e Trump dice che va tutto bene. Fa fatica ad essere un amico, a parlare con gli sconosciuti ma anche con i conoscenti, fa fatica ad avere una relazione perché «leggo un sacco di teorie femministe ma mi rifiuto di metterle in pratica». Fa fatica a vivere a New York, perché non è il Mississippi, e fa fatica a vivere in Mississippi, perché lo è.

Ha difficoltà a fare qualsiasi cosa, e certo in parte sarà anche una questione di attitudine, ma molto ha a che fare con l’essere neri in America: cosa viene insegnato a un bambino nero dalla società in cui vive? Che verrà sempre punito con più severità rispetto ai bambini bianchi. Ma a lui non interessa. Si fa cacciare da scuola e sospendere dall’università. Si tiene a malapena a galla, camminando sulla linea tra bene e male, tra sopravvivenza e autosabotaggio. Quello che lo tiene in piedi è il ricordo di suo zio Jimmy, morto troppo presto dopo una vita passata tra pipette di crack e arresti – un monito di cosa succede quando lasci che la rabbia ti consumi, quando smetti di camminare sulla linea, quando ti arrendi al disprezzo interiorizzato, e cadi. Non c’è rete di salvataggio.

«Mi hai ispirato migliaia di paragrafi, centinaia di scene, ma non ti ho mai mostrato neanche una singola frase. Avevo paura di sentirti smascherare il mio lavoro come nient’altro che una smagliante e viziosa perdita di tempo. Ma più che altro cercavo di nasconderti che avrei voluto fossi più bravo a essere umano. Non volevo capissi che nel vero te vedevo una persona che mai sarei voluto diventare, un “negro” inetto in libertà vigilata degno solo di vacua meraviglia o rabbioso disgusto, un “negro” ghignante, capace di combattere giusto un paio di round decenti prima di farsi prendere ripetutamente a calci dal suprematismo bianco e da un vuoto multiculturalismo. Zio Jimmy, sapevo che ti stavi uccidendo lentamente. E prevedibilmente, sapevo che sarei diventato te. Per questo ti odiavo, e odiavo me stesso».

Che risposta si può avere davanti a tutto questo? Come si affronta un trauma simile, passato di generazione in generazione, per secoli, di oppressione umiliazione, impotenza? Un trauma antico, radicato, confermato ogni giorno in cui Laymon non può vivere a Oxford, Mississippi, senza possedere un’arma. Quello che Laymon sembra cercare, e di cui talvolta coglie dei barlumi, è il coraggio di amare sé stesso, di lottare consapevolmente e quotidianamente contro quell’annichilente senso di inadempienza al vivere, in fondo allo stomaco – l’idea, in breve, di non valere nulla. Quell’idea che sua nonna combatteva ogni mattina, con un atto radicale, rivoluzionario, di amore per sé stessa. Perché un nero in America deve amarsi per sopravvivere, ma nessuno glielo insegna. Conviene non si sappia. E chi non si ama finisce per uccidere lentamente sé stesso e gli altri, in America.