Quaderni segreti di un giovane omicida

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Ci sono personaggi di finzione creati talmente bene che quasi ci fanno commuovere, ci affascinano con la loro forza poetica, ci sorprendono con il loro affinato ingegno, ci invitano a riflettere su questioni che fino a quel momento non consideravamo nemmeno, ci insegnano ad affrontare in maniera costruttiva i nostri turbamenti. A volte, leggendo libri, ci imbattiamo in figure che fanno vibrare le corde della nostra sensibilità e che in qualche modo ci arricchiscono, quasi come se, tramite la loro esperienza, riuscissimo a trovare le domande giuste o le parole che meglio descrivono un fatto o uno stato d’animo che altrimenti non sapremmo spiegarci del tutto.

A qualcuno sarà sicuramente capitato di leggere sul giornale un fatto di cronaca. Molto spesso si rimane sconcertati di fronte alla violenza e all’efferatezza di alcuni crimini. Ma talvolta l’identikit dell’omicida può essere molto complesso e al contempo affascinante, tanto da suscitare in noi una curiosità per certi versi inaspettata. Giungiamo persino a chiederci: “Perché l’ha fatto?”. Vogliamo saperne di più e proviamo a documentarci come meglio possiamo: magari, se trovassimo i diari segreti dell’omicida in questione, li leggeremmo tutti d’un fiato.

E qui veniamo al punto. Mattia Grigolo, fondatore di due riviste (Yanez ed Eterna) e di un laboratorio di scrittura creativa a Berlino (Le Balene Possono Volare), con il suo esordio La raggia, pubblicato da Pidgin, ci invita a leggere i quaderni di un giovane omicida che trascorre le proprie giornate nel bosco, tra ombre e cattivi pensieri, immerso in una solitudine profondamente tormentata. Lo fa però in modo insolito: dobbiamo scorrerli a partire dall’ultima pagina come se fossero parte di un diario che si apre con un omicidio da poco compiuto. Sta ora a noi comprendere cosa è andato storto.

«Pure il bosco mio è una poesia. E io che m’immaginavo che solo Nina lo era. Quasi che piango, che provo più dolore io adesso di quanto l’ho provato in tutta la mia vita, perché è un dolore diverso da quello delle mazzate botte, un male che c’ho dentro le ossa e pure più in fondo e mi blocca senza che posso fare un passo in più. Posso solo piangere di disperazione col pensiero che indietro non ci posso tornare più».

La narrazione non si dipana in modo lineare, anche se predispone comunque un quadro narrativo organico, che si compone di frammento in frammento seguendo un ordine cronologico ribaltato. Fin dalle prime pagine, facciamo i conti con la natura misteriosa della raggia e ci interroghiamo su come abbia potuto spingere il protagonista a consumare un crimine tanto efferato come l’omicidio della propria fidanzata, Nina.

Ogni singolo frammento di vita riportato nelle pagine dei quaderni si inserisce all’interno di una trama che si nutre solo e soltanto del tormento del protagonista. Non c’è infatti spazio per riflessioni articolate sul mondo che lo circonda o per qualsiasi altro tipo di evento lontano dalla caratterizzazione nuda e cruda del dramma. Nel testo sono inoltre presenti delle cancellature che testimoniano la naturalezza e l’innocenza con cui il protagonista si dedica al racconto di sé. Vengono utilizzate delle espressioni dialettali che mostrano quanto spontaneo e libero sia il suo proposito di ricucire un senso nel tentativo di rendere giustizia a ciò che gli accade. In questo modo la vicenda assume toni spietatamente realistici: stiamo ascoltando la vera voce del protagonista e non quella di un narratore esperto che si serve di un linguaggio forbito o incline a intenerire il lettore.

«PRENDI UN PENSIERO BRUTTO E METTILO NEL FIUME»

Assistiamo così al disperato tentativo del protagonista di dare corpo alle proprie tonalità emotive. Lo fa con la stessa ingenuità dei bambini che danno per la prima volta un nome alle cose che li circondano, imparando così che il linguaggio è lo strumento essenziale per comprendere sé stessi e il mondo. Solo così il protagonista riesce a definire la disperazione per l’ingiustificabile violenza del padre, l’opprimente sentimento di abbandono provocato dalla scomparsa della madre, l’indifferenza di una società in cui «non gliene fotte niente a nessuno chi scompare, chi muore, chi si prende le cose degli altri e chi le cose non ce l’avute mai». Sebbene esprima il suo pentimento per quanto commesso, sa di non poter guarire: sa benissimo che la raggia che ha dentro è la stessa del padre e che lo perseguiterà per sempre, perché certe cose non si possono dimenticare.

«A volte mi sembra che io sono sconosciuto a me stesso».

La raggia è un libro che affascina anche per merito degli interrogativi che lascia volutamente in sospeso. Cosa rivela il compagno di cella rumeno al protagonista sul conto del padre? Ha forse scoperto com’è che sua madre è scomparsa? Perché la volpe ha il volto della madre e perché Nina si trasforma in un «pensiero brutto» da gettare nel fiume? Queste domande lasciano il segno proprio perché accrescono la nostra voglia di comprendere fino in fondo perché un giovane ragazzo, sensibile e innocente, si sia trasformato in un omicida, perché questa maledetta raggia, nonostante tutto, sia riuscita a prevalere.

«C’ho come un cratere dentro che mi sento stanco come se non tenessi più la forza di fare niente, manco pensare. Non voglio pensare, ecco. Voglio scomparire come la sabbia quando il vento se la porta».

Merita una menzione speciale la lettera finale alla madre, in cui la profonda tenerezza espressa in alcuni passaggi dei quaderni trova la sua massima espressione. Sebben poco alfabetizzato e poco avvezzo alla scrittura, il protagonista riesce comunque a trasmettere il proprio dolore, a regalarci pagine profonde e tristi, a farci assaporare l’amarezza di chi afferma: «indietro non ci posso tornare più».

La potenza di questo libro è tutta racchiusa nel racconto di un sé, pieno di errori e cancellature, che fa emergere quanta sofferenza e solitudine talvolta si celino dietro un crimine così mostruoso.

Ma allora viene spontaneo domandarsi: sarà tutta colpa della raggia, oppure questo è solo il nome che solitamente si dà a ciò che non sempre si riesce a comprendere?