«Una certa arte per vivere nel buio». Le poesie di Moira Egan

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Uscito a marzo nella collana Controcielo, che ha ospitato autrici e autori come Anne Carson, Ben Lerner e Charles Simić, Amore e morte della poeta americana Moira Egan conferma l’interesse della casa editrice romana per quelle scritture che intendono restituire l’esperienza poetica del quotidiano e interrogarsi sul valore politico e conoscitivo della parola letteraria.

Il libro raccoglie poesie nuove e vecchie, selezionate dall’autrice, nella versione del traduttore Damiano Abeni. Egan ha alle spalle un gran numero di pubblicazioni, sia in America – dove Synæsthesium (2017) le è valso il The New Criterion Poetry Prize –, che in Italia (dove vive): La seta della cravatta (2009), Botanica Arcana (2014), Olfactorium (2018).

Il titolo e la suddivisione del libro ci introducono subito in quello che sembrerebbe un discorso quasi archetipale sui temi cruciali della forma-lirica: «Amore», «Morte», «Sesso», «Filosofia», «Poesia» e «Altro». Ma si tratta di un piacevole inganno. Dietro a questa divisione apparentemente statica, il lettore scorgerà in tralice una più complessa struttura interna fatta di riprese, parallelismi, percorsi sotterranei. Alla lirica si aggiungono infatti veri e propri poemetti di taglio narrativo, prose poetiche, e persino un haiku. A tenere insieme questa raccolta così composita è il ricorso diffuso a un verso lungo, narrativo. Contro ogni regola troppo prescrittiva, nella poesia di Egan le forme tradizionali della metrica classica e moderna convivono con il verso libero, talvolta anche all’interno dello stesso testo. Lo stile dell’autrice si distingue inoltre per il frequente ricorso al dialogo e all’allocuzione, che spesso chiamano direttamente in causa il lettore, per suscitarne la partecipazione. La tensione verso la comunicazione diretta coesiste tuttavia con la ricerca di una parola elegante o musicale, di un giro di frase inusuale o inaspettato, di immagini insolite e discordanti. L’effetto complessivo è quello di una lingua coesa, concentrata su di sé, che però sa giocare con una ricca tavolozza di sfumature emotive, che vanno dal mot d’esprit alla confessione, dall’invettiva alla supplica e così via. La traduzione di Damiano Abeni, per altro molto libera, mantiene questa impostazione di fondo e anzi accentua ulteriormente la vivacità della lingua.

Il «Proemio» si apre con la sfiducia di Egan verso l’Amore: né il sesso, né la filosofia, né la poesia la avvicinerebbero alla «verità» («E la filosofia la sento simile alla morte, / e non riesco a trovare alcuna poesia nel sesso»). Bisognerà cercare la verità proprio nella «Morte», in ciò che è oscuro e doloroso oppure deperisce e va verso la fine. Come leggiamo in La cara, l’oscuro:

«Mi dice che non le piace il buio:
ha il terrore di dissolversi lì dentro.
Le voglio dire che ci vuole una certa arte
per vivere nel buio. Ebano e gaietto,
giada nera o onice, ecco le cose preziose
senza le quali non si può guardare la luce».

Tutto il libro può essere letto come un’anabasi che va proprio dalla Morte all’Eros, passando per l’accettazione della profonda compenetrazione di dolore e gioia, morte e vita, sesso e nulla.

Quello di Egan è insomma un libro stratificato e dai molti punti di accesso, che può essere letto di volta in volta come una raccolta di elegie rivolte al mondo dei morti, un canzoniere erotico e persino un erbario magico. Queste tre anime si incontrano con grande coerenza nel tema fondante della raccolta: la continua reversibilità tra fine e inizio, morte e vita, fuori da ogni visione dicotomica dell’esperienza e dei sentimenti.

Sin dalla poesia iniziale, che ha valore di vero e proprio “proemio”, sia per la funzione d’apertura sia che per il richiamo alla classicità (sottotesto dell’intera raccolta), l’autrice istituisce una connessione profonda tra inizio e fine, decadenza e rinascita, inanimato e vegetale. Giocando con uno dei topos più ricorrenti della poesia classica, Egan non si limita a riproporre la già sperimentata dicotomia amore/morte, ma intende esplorare tutto lo spettro di esperienze, sentimenti ed emozioni che stanno nel mezzo. Per farlo, e qui Egan è pienamente inserita in un discorso sulla letteratura contemporanea, non resta che rivisitare e rivivificare miti, motivi e immagini appartenenti al dramma e all’epica con coinvolgimento e originalità, ma anche con una parodica presa di distanza. Anche dove la scrittura si inoltra nella materia grezza del desiderio e delle pulsioni, è possibile avvertire un senso di misura, di controllo, che sottrae le poesie tanto al sentimentalismo quanto al rischio di una lettura ingenua.

Ma le poesie di Egan possono anche essere lette come delle lettere, rivolte a membri della propria famiglia o a grandi figure della letteratura (Heaney, Simić, Strand, tra gli altri). Questi testi si aprono sempre con la rievocazione di un incontro, di una conversazione, di un episodio significativo, un mondo di ricordi e di morti descritto con mestizia e calma. Non a caso molte delle poesie hanno un’ambientazione crepuscolare o notturna. In Vespri ad esempio leggiamo:

«Uno dei doni delle ore serali
è il buio, velo di velluto tra il tuo sé
e l’arte bestiale del morire».

Infine, rimane un aspetto insolito: il libro-erbario. Sono molti i nomi scientifici di piante e fiori che fanno la propria comparsa. Nella particolare nicchia ecologica creata dalla poesia di Egan, questi nomi scientifici si arricchiscono di una specie di aura esoterica, stregata. A ognuno di questi attori vegetali spetta la funzione di emblema, o di allegoria, nel dialogo serrato tra amore e morte: Opuntia littoralis, Laurus nobilis, Datura suaveolens, Arbatus unedo, Wisteria Sinensis. Il primo esprime un amore famelico per tutto ciò che è pieno, maturo e sensuale; il secondo simboleggia la poesia ma anche l’arte della trasformazione; il terzo, invece, il perdono; l’ultimo è un transito dal mondo del desiderio a quello della nostalgia, del decadimento e della morte. L’ambiguità del mondo vegetale si riflette sulla poesia di Egan, scrigno di contraddizioni: («Queste sono le mie poesie, / pistillo, stame, sangue e lividi»).

Non possiamo parlare di un libro interamente incentrato sull’erotismo, come quelli di Patrizia Valduga, ma è indubbio che il desiderio ne costituisce un aspetto centrale. Egan tratta il tema in modo originale, come questione filosofica, materia ludica, giocosa, vitale (e qui Egan si mostra autenticamente classica) da avvicinare con gli strumenti della poesia. Questa ricerca filosofica non ha però l’obiettivo di ridurre, addomesticare l’oggetto della conoscenza, ma al contrario di liberarlo. La poesia vuole liberare il mostro, quasi ribaltando il mito di Perseo e di Medusa. Andando contro le convenzioni legate alla rappresentazione del sesso nella lirica – che lo vorrebbero indiretto, allusivo o reticente –, sempre riferendosi al mito si può dire che Egan passi dallo sguardo di Perseo a quella di Medusa. Se Perseo rappresenta lo sguardo maschile, che contiene, ordina, e infine uccide ciò che è mostruoso – ciò che, in altre parole, non obbedisce alle normali regole di comprensione –, lo sguardo femminile di Medusa ci restituisce un’esperienza più ambigua e potente del desiderio. In questo modo, Egan dà voce ad un erotismo franco, schietto, orgoglioso, che non ha nulla di lacrimevole o facilmente struggente ma al contrario luccica di divertimento e di umorismo catartico.