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La notte al termine del viaggio

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I personaggi dei fumetti comunicano sempre per iscritto, anche quando parlano ad alta voce, quando pensano o quando fanno rumore. Siamo portati a credere che i dialoghi racchiusi nei balloon evochino una situazione reale, siano la traccia visibile della dimensione verbale di un racconto per immagini, ma spesso non riflettiamo sul fatto che anche quei contenitori occupano una superficie. Le nuvolette non si limitano a fornirci informazioni; esse stesse lo sono, perché ci dicono di una fonte che ha emesso un suono, e sottraggono al nostro occhio una parte del foglio, fosse anche vergine (come un cielo senza nuvole o una landa desolata).

Il fiume di notte di Kevin Huizenga (Coconino press) si apre con una sintetica descrizione di questo paradosso. Nella prima pagina c’è un riquadro verticale che dà sull’interno di un’abitazione. Due inquilini, ai lati della vignetta e privi di volto, stanno sicuramente parlando perché al centro della scena c’è un balloon, che però è stato oscurato. Tavola dopo tavola, la macchina da presa si allontana vertiginosamente, dai tetti delle case ai confini con la volta celeste, senza perdere di vista la nuvoletta, che ha abbandonato la sua fonte sonora salendo verso l’atmosfera. Qui, come ogni nube che si rispetti, evapora e la sequenza si conclude.

È una dichiarazione d’intenti. Huizenga impianta una metafora sull’evanescenza delle parole, delle conversazioni quotidiane ricche di banalità e frasi fatte, che per essere messe in scena non hanno bisogno né di una fisionomia verbale né di un tono di voce preciso. Il balloon non è più calibrato in funzione della lunghezza del testo, ma vive di vita propria. Se nella finzione diventa semplice vapore acqueo e come tale risponde alle leggi della fisica, l’effetto ottenuto su carta è ancora più spiazzante, perché la frase misteriosa occupa ugualmente uno spazio: è stata pronunciata dal personaggio di un fumetto, ed è reale tanto quanto lui, a prima vista. Huizenga sembra ricordarci che la parola scritta è indifendibile, e che nei suoi lavori – come in quelli di tutti i suoi colleghi – chi usa la voce è destinato a non capire o a non farsi capire.

Tavola 158 – Una delle tante incomprensioni tra Glenn e Wendy

Nel riassumere la trama dell’opera si percepisce la stessa semplicità che caratterizza l’incipit. Glenn Ganges, personaggio ricorrente nella produzione dell’autore, è il classico uomo medio, che quando non lavora si concede una passeggiata nella natura, un salto in biblioteca, o una chiacchierata con la moglie, Wendy, con la quale ha un rapporto normalissimo, fatto di piccoli litigi e grandi momenti d’affetto. Una sera però, dopo aver esagerato con il caffè, non riesce a prendere sonno e si appresta a trascorrere una notte in bianco nella quale confluiranno timori e ricordi, crisi di nervi e riflessioni. Al suo fianco, nel frattempo, Wendy riposa tranquillamente e Glenn può sentirla respirare. Un balloon bianco, totalmente vuoto, è il simbolo del suo fiato.

Per i pensieri del protagonista, invece, Huizenga ricorre alla stessa soluzione visiva proposta in apertura, ma decide di ribaltarla: non più un’unica nuvoletta che si perde nell’aria, bensì un cielo ricoperto di idee, un conglomerato di riquadri attratti gli uni verso gli altri. È una versione allegorica della mente di Glenn, dove i processi cognitivi rivestono uno strato superficiale che assomiglia a una grande distesa oceanica, sulla quale si scatena un nubifragio. Al di sotto, in profondità, arde il fuoco dell’insonnia che simboleggia l’effetto del caffè. Il parallelismo con la sequenza iniziale è inevitabile e il suo significato eloquentissimo: Glenn è l’ecosistema in cui vive; lui e l’ambiente che lo circonda sono fatti della stessa materia, e i loro rivolgimenti sono dominati da un rigido determinismo, che non lascia spazio a credenze superflue o astrazioni.

Questo comporta che, anche nei pochi sprazzi di sonno, Glenn finisca per rivivere la giornata appena conclusa, ritornando sui propri passi e ripetendo ogni gesto, meccanicamente, contro la sua volontà. «Quando le cose scorrono e tu sei concentrato – osserva a un certo punto – ci sono solo azioni e reazioni e azioni. È tutto facile e non ti accorgi neanche del passaggio del tempo: ci sei immerso dentro». Svuotare la mente, percepire solo il respiro (cioè le nuvolette vuote, a scapito del testo da cui cerca di liberarsi), separare la mente dal corpo… non sono i rimedi migliori, ma Glenn deve farseli bastare. Del resto, che da questa nottataccia anonima dipenda la sua stessa vita diventa chiaro quando uno dei tentativi sembra funzionare un po’ troppo, e la coscienza dell’eroe, personificata in un suo doppio, fugge a bordo di un balloon.

 Tavola 105 – Anche la coscienza di Glenn è uguale a Glenn

In effetti il vero protagonista di molte scene non è Glenn, ma una sua proiezione, un suo alter ego deformato che si aggira per casa, che rovista fra i libri in cerca di una lettura soporifera o che rischia di farsi arrestare per schiamazzi notturni. Il corpo del personaggio delega l’azione alla propria mente, libera di vagare in un mondo inattendibile e senza filtri che si piega a ogni esigenza del narratore. Anche la più ridicola, come quando Glenn deve acchiappare un gatto domestico che si dà per scontato essere il suo – anche se non è mai comparso prima d’ora.

Huizenga tiene a specificare che mente e corpo del suo primo attore non sono mai realmente separati. In passato Glenn aveva sviluppato una fissazione per un videogioco, uno sparatutto in prima persona con cui si divertiva ogni sera dopo il lavoro insieme ai colleghi. Poi rientrava a casa, si buttava nel letto e sognava di continuare a essere nel videogame, muovendosi per le strade e incontrando altri personaggi fittizi. Non è un caso, dunque, che nell’appartamento dei Ganges tutto rimandi all’universo videoludico. C’è la coscienza di Glenn, che è un avatar di per sé; ci sono le alternative al sonno che gli si presentano, e che vengono scartate in fila come se il comando provenisse da un joystick; c’è il tavolo della cucina da mettere in ordine, insieme a un’infinità di altre incombenze. Verso la fine, addirittura, l’unico obiettivo di Glenn diventa quello di non svegliare Wendy, quasi come se la posta in gioco fosse vitale, al pari dei tanti videogame in cui gli npc (non-player character) devono ricevere protezione.

L’esperienza in prima persona azzera i legami con il mondo circostante e chi gioca è spedito in una dimensione virtuale dove «vede soltanto la sua pistola e i suoi bersagli», come ci dice la voce narrante. A modo suo, anche Il fiume di notte si avvale di un’interfaccia di gioco, solo che nella parte bassa o ai lati delle inquadrature non ci viene mostrata un’arma, com’è tipico degli sparatutto, bensì il profilo di Glenn, che vale per mente e corpo e salta fuori di continuo (persino in altre opere di Huizenga, come nella copertina del volume antologico Maledizioni). È molto più di un simbolo: è un invito ad assumere il punto di vista del personaggio, per fare propria una vicenda che altrimenti sarebbe anonima, non universale (com’è nelle intenzioni).

Tavola 53 – Una pausa videoludica che ricorda “Blue” di Lewis Trondheim

Quando non cammina per casa, Glenn si rigira nel letto e ripensa al passato, provando a fare chiarezza: la sua insonnia non può essere dovuta al caffè, ci dev’essere un peso che lo turba, non importa se da qualche giorno, da pochi mesi o dall’infanzia. «C’è questo avanti e indietro tra i pensieri e le azioni» che si ripete di continuo e che verso la fine sfocia in un caleidoscopio di ricordi premonizioni propositi che non sembrano tenere conto gli uni degli altri. In una digressione introdotta dalla didascalia «prima», Glenn e Wendy prendono l’aereo e si ricordano di quella notte che lui non riusciva a dormire. Lei, fumettista di professione, gli aveva giurato di farci una storia, ma dopo un po’ si era fermata perché non riusciva a capire come concluderla. Anche questo episodio è eloquente perché fa risalire al passato l’epilogo di un evento in corso, proprio come fa Glenn nei suoi “viaggi nel tempo” immaginari: scava in profondità nel vissuto a partire da ciò che sta per vivere e che percepisce come ordinario.

Sul piano stilistico Huizenga porta alle estreme conseguenze l’osservazione di Scott McCloud sullo scorrere del tempo tra le vignette. «Al contrario di altri media – si legge in Understanding comics –nel fumetto il passato è più che un ricordo per il pubblico, e il futuro è ben più di una semplice possibilità. [Entrambi] sono reali e visibili attorno a noi», sotto forma di riquadri che abbiamo già letto o che dobbiamo ancora leggere quando ci troviamo a un certo punto della pagina. Glenn rompe lo schema tradizionale in diverse occasioni, e passa materialmente da una vignetta all’altra, nel più classico escamotage metafumettistico. Non l’ha certo inventato Huizenga, ma con lui assume così tanti significati da far invidia a chiunque ne faccia abuso.

Diamo un’occhiata alla sequenza qui in basso. Glenn sta andando in biblioteca, percorrendo una strada che ama e che conosce fin troppo bene, tanto che ricorda di averla fatta anche la primavera precedente, e quella prima, e quella prima ancora. Per passare di anno in anno si affaccia sui quadretti successivi, sia di fronte che di lato, in un unico movimento ininterrotto: una specie di piano sequenza, con il disegno sullo sfondo “ripreso” in divenire, senza tagli.

Anche nella striscia successiva c’è una grande immagine in secondo piano, ma Glenn non si muove più nella dimensione sequenziale delle vignette, ma in quella tabulare della pagina. Si è lasciato alle spalle i tre piani temporali accatastati sulla sinistra (quasi a formare un’illusoria mise en abyme) ed è approdato in uno spazio apparentemente uguale a prima ma che non è soggetto allo scorrere dei minuti. «Se svuoto la mente… il momento presente sembra infinito. Eterno», puntualizza subito dopo. Sarebbe una frase banale, se non fosse l’unico strumento che ha per esorcizzare la monotonia della vita, di cui si è appena reso conto quasi per caso.

Tavola 18 – I viaggi nel tempo all’avanguardia, secondo Kevin Huizenga

Già dalla tavola seguente lo schema compositivo ritornerà normale ma l’autore non rinuncerà mai a queste piccole licenze. La forma, più che omologarsi al contenuto, lo deve modellare. Il discorso (serissimo) sullo scorrere del tempo viene portato avanti solo nel momento in cui è il linguaggio a veicolarlo, sotto una coltre narrativa imbevuta dei generi più disparati, dal thriller alla commedia, dal fantasy alla divulgazione scientifica. Diciamolo senza remore: l’approccio di Huizenga è poetico, non perché si nutra di metafore ma nella misura in cui il verso (inteso come “artificio”) «è un ostacolo scelto per provocare un effetto di straniamento semantico», per usare le parole del maestro.

La narrazione ha un andamento digressivo, evita le scene madri, si muove a un ritmo ellittico e nega la linearità. Non importa che, al lato pratico, accada tutto in poche ore: la vera materia è un’altra, e abbraccia l’arco di vita di un uomo che sa già cosa aspettarsi dal futuro e accetta solo di sentirsi più vecchio. In altri fumetti di Huizenga, Glenn non raggiungeva questo stesso orizzonte stoico: era ancora succube del suo creatore, era passivo, recalcitrante, agiva in un certo modo perché così doveva essere. Aveva già compiuto il viaggio che gli spettava, in qualità di eroe, ma doveva ancora prenderne coscienza, rielaborarlo.

Dopo stanotte ce l’ha fatta.