Tempi eccitanti: la grammatica dei sentimenti secondo Naoise Dolan

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«Non ero brava quasi in niente, ma ero brava con gli uomini, e Julian era l’uomo più ricco con cui fossi mai stata brava».

Ava ha 22 anni, si è appena trasferita da Dublino a Hong Kong e insegna inglese in una scuola che assume solo persone bianche. È una ragazza decisamente originale e fuori dagli schemi; quando incontra qualcuno che le piace vuole tutto di lui e lo vuole in fretta. Proprio per questo, Ava trasloca a casa di Julian (il suo «amico banchiere») dopo solo poche settimane di reciproca conoscenza. Ciò che la attira di lui, oltre allo stipendio, è il suo senso dell’umorismo caustico. Ogni loro discorso evita accuratamente qualsiasi riferimento sentimentale, e si concentra solo sui titoli di giornale, la politica e l’andamento della borsa. Insieme formano una coppia strana e disfunzionale: «Due individui contorti e felicemente appaiati, come in un’Arca di Noè per sociopatici». A lui fa piacere avere qualcuno intorno, a lei fa comodo vivere in un bell’appartamento senza dover pagare l’affitto. In poco tempo finiscono a letto insieme, ma il sesso tra loro non ha un valore affettivo, è più che altro un modo per avere qualcuno vicino senza aprirsi veramente.

Nonostante le piaccia credere il contrario, Ava ha un’idea abbastanza precisa di sé stessa, ovvero quella di una persona «distaccata», difficile da amare, e la relazione con Julian non fa altro che confermarle quell’immagine. Tutto sembra prendere una piega diversa quando incontra Edith, una ragazza di Hong Kong di cui Ava si innamora in pochissimo tempo. Tra loro si instaura un legame che è tutto l’opposto di quello con Julian: non c’è solo sesso, ma anche vulnerabilità, una vulnerabilità che porta inevitabilmente con sé la paura di essere feriti («Julian mi aveva resa infelice, ma sarei stata disperata se Edith avesse deciso di abbandonarmi»).

Con Tempi eccitanti, Naoise Dolan ci racconta l’amore precario dei tempi moderni, quel sentimento che secondo Bauman è tipico della “società liquida”:

«In una società simile nulla si può sottrarre alla legge universale della esitabilità e a nulla può essere concesso di restare più dello stretto necessario. La costanza, la resistenza e la vischiosità delle cose, inanimate e animate, costituiscono il più sinistro e grave dei pericoli, sono la fonte delle peggiori paure e il bersaglio delle aggressioni più violente».

Julian e Ava si comportano secondo questo schema, ovvero preferiscono relazioni senza impegno, che migliorano o confermano il loro status sociale. Lei ripete spesso a sé stessa che il motivo per cui è tanto attratta da Julian sono i suoi soldi, mentre per lui frequentare una ragazza come Ava è un modo per rafforzare la sua autostima («Mi piacevano i suoi soldi e a lui piaceva quanto facessero colpo su di me»).

Edith, al contrario, dimostra fin da subito di prendere molto sul serio la relazione con Ava. Il sentimento che lega le due ragazze è qualcosa di profondo, che rischia di far soffrire Ava molto più dell’indifferenza di Julian, tanto da farla scappare a gambe levate non appena si troverà costretta a dover scegliere tra le due relazioni. È così terrorizzata dalla vicinanza emotiva di Edith, che preferisce credere che nessuno le vorrà mai bene. Continuando a convivere con il suo amico banchiere, pensa di mettersi al riparo dai suoi sentimenti. Lei stessa lo ammette, in una bozza di messaggio mai inviata:

«Lui non mi rende felice o triste come fai tu. Questo significa che di lui mi importa meno, ma rende anche difficile lasciarlo del tutto. È come la corrente del golfo. Hai mai studiato la corrente del golfo? Dona un clima mite all’Irlanda».

Un altro tema al centro del romanzo è quello della ricerca della propria identità. Ava è molto giovane, e la sua difficoltà a capire sé stessa è amplificata dalla superficialità dell’ambiente in cui vive. Tutta la vicenda si svolge in una Hong Kong impersonale, piena di “non luoghi”, che inneggiano al consumismo. Le grandi stazioni, gli Starbucks, i centri commerciali: tutto va veloce, così come i pensieri della protagonista, che scorrono contradditori, mutevoli. Ogni cosa può essere modificata e migliorata attraverso i social, perché la vita è solo una questione di editing («Attraverso l’arte della composizione riducevo la mia vita, ne bruciavo i grassi, archiviavo le asperità»).

La lingua ha un ruolo centrale in Tempi eccitanti. Ava è cresciuta credendo di essere madrelingua inglese, ma “l’inglese standard” che insegna ai suoi studenti ha regole e strutture che le sembrano totalmente prive di senso. L’esempio più evidente è quando si rende conto di non saper usare il congiuntivo:

«L’inglese aveva il congiuntivo. L’ho imparato la mattina che l’ho insegnato. Sapevo che il francese ce lo aveva e sospettavo che l’irlandese ce lo avesse, ma non mi ero mai accorta delle sue impronte volubili nella mia lingua madre. È venuto fuori che non ne sapevo nulla perché il congiuntivo inglese richiedeva delle strutture che non usavo mai. […]. Si ricorreva al congiuntivo per ciò che era meno che concreto. Se lo evitavo, significava che dicevo solo cose vere?»

Proprio come la sua protagonista, Naoise Dolan è attenta al modo in cui le persone formulano le frasi, e usa la voce di Ava per mettere in evidenza le contraddizioni della sua lingua: 

«Senti, tu mi piaci molto». «Anche tu», ho risposto. Il che non aveva senso. Di sicuro “Anche tu” significava che io pensavo che anche lui si piacesse molto, ma non ci ha fatto caso».

Il tempo della narrazione è scandito dai progressi linguistici degli studenti di Ava. Spiegando la grammatica mese dopo mese,  Ava si ritrova a fare considerazioni più ampie sulle differenze tra inglesi e irlandesi, come quando si interroga sul modo giusto di pronunciare things o what:

«Se l’irlandese non aspirava e l’inglese aspirava, allora avevano ragione loro, ma se lo facevamo noi e gli inglesi no, pure lì avevano ragione loro. Gli inglesi ci hanno insegnato l’inglese per dimostrarci che loro avevano sempre ragione».

La storia procede con un ritmo veloce, che asseconda i pensieri – e anche le paranoie – di Ava; la scrittura è pungente, i dialoghi – fatti di botta e risposta affilati – sono simili a partite di tennis («Non eravamo sempre bravi negli scambi veloci, ma quando accadeva, eravamo perfetti. […] Come ogni scambio di rovescio, quando i professionisti giocavano contro i professionisti, pareva tutto facile»).

Questo andamento della scrittura è genuinamente divertente, anche se non è sempre facile stare dietro a tutte le riflessioni di Ava, soprattutto quando riguardano la lingua inglese. Forse questo è anche dovuto al fatto di aver letto Tempi eccitanti in italiano (si perde inevitabilmente qualche piccola sfumatura di significato rispetto alla lingua originale; a volte si ha l’impressione di non riuscire a cogliere il vero senso di quello che si sta leggendo). Tuttavia siamo così immersi nella testa di Ava che finiamo per capirla a un livello più profondo.

Tempi eccitanti è una riflessione non scontata sulla natura contraddittoria dell’amore e sui rapporti di potere che inevitabilmente condizionano le nostre relazioni sociali. La verità è che l’uguaglianza non esiste in una coppia: c’è sempre chi è più coinvolto, anche se a volte questo equilibrio – o meglio questo squilibrio – cambia nel tempo. Ava all’inizio preferisce cedere il comando agli altri, anche per evitare di prendersi delle responsabilità rispetto ai propri sentimenti («Detestavo stare al comando. Volevo che Edith mi dicesse cosa eravamo e come funzionavamo»). Solo quando è messa alle strette decide di essere parte attiva nella relazione, ma lo fa nel modo sbagliato («Ho sentito il potere che avevi su di me, e volevo sentire che ne avevo anch’io. L’ho sentito. Ha funzionato. Lo odio.»).

Il finale del romanzo coglie Ava nell’atto di correre a per di fiato su una scala mobile, un oggetto concepito proprio «per evitarle tale sforzo». Con questo gesto, la protagonista dimostra di aver finalmente imparato qualcosa sull’amore: l’unico modo per essere felici è accettare la possibilità del dolore. È un vero e proprio atto di coraggio che richiede fatica, ma che vale la pena di fare quando si incontra la persona giusta.