Ujkan è sempre voluto andare in Italia, ma il motivo non lo sa. Il primo tentativo risale a quella volta che, a undici anni, ha cercato di confondersi tra i profughi kosovari in partenza per Brindisi. Da lì in poi si sono susseguite una serie di altre disavventure, ma Ujkan non c’è mai arrivato vicino come adesso. La costa italiana è proprio lì, davanti ai suoi occhi; il gommone si è svuotato e tutti i migranti procedono a grandi bracciate verso la riva. Eppure lui non accenna a muoversi e l’unica cosa che riesce a dire all’incredulo scafista è «non me la sento». Forse sognare l’Italia è più importante che andarci sul serio, oppure la sua è solo paura; fatto sta che non si decide a percorrere quei pochi metri che lo separano dalla sua meta. E così, torna in Albania.
Con questo inizio surreale, Elvis Malaj sembra volerci dire di non prendere troppo sul serio il suo protagonista. Ujkan è infatti un personaggio contraddittorio, animato da un’ostinata determinazione che lo spinge a rincorrere il proprio obiettivo, senza farsi troppe domande, ma che allo stesso tempo è intrappolato nella più assoluta immobilità. Anche dopo essere rientrato in Albania, Ujkan continua a sognare l’Italia, tuttavia ogni azione che compie lo trascina nella direzione opposta.
C’è solo un’altra cosa che desidera con la stessa intensità: sposare Irena, la misteriosa ragazza in bicicletta che non parla mai di sé e di cui Ujkan si innamora perdutamente. I suoi tentativi di conquistarla rasentano lo stalking, tanto che lei, esasperata, lo minaccia con una pistola pur di farlo smettere. Lui insiste, per niente abbattuto da tutti i «no» ricevuti. «Prima di ottenere un sì, bisogna ottenere tanti no. Il no è un prodotto valido che non bisogna sottovalutare» si ripete spesso, citando l’oratore del corso per venditori che ha frequentato da ragazzino.
Questa filosofia riassume la semplicità con cui Ujkan guarda alla vita: interpreta il mondo affidandosi a degli schemi predefiniti e consolidati, come il Kanun, codice di tradizioni albanesi risalenti al medioevo, tramandato oralmente di famiglia in famiglia. Esempio lampante di questa caratteristica è il capitolo “La Stanza degli uomini”, in cui il protagonista – in seguito ai diversi rifiuti di Irena – si rivolge allo zio per chiedere consiglio. Ne viene fuori un dialogo assurdo, ma perfettamente lucido, in cui i due uomini ragionano concretamente sulla possibilità di rapire la ragazza (o meglio, grabitë, letteralmente “sequestrare”, in albanese), per poi avviare le trattative con la sua famiglia e ottenere il permesso di sposarla:
«La devi portare a casa tua e trattarla come un’ospite, non potrai dormire con lei finché non ci sarà l’accordo tra le parti. […] Se è una ragazza difficile, dovrai essere ancora più deciso. Ma poi perché dovrebbe fare tutto questo trambusto? Tu la vuoi grabitë perché la ami e la vuoi sposare».
Passaggi come quello appena citato generano un senso di straniamento nel lettore. Da una parte siamo portati a scandalizzarci, perché riteniamo impossibile che accadano ancora cose del genere nel Ventunesimo secolo; dall’altra, il tono della scrittura è talmente naturale e leggero che la violenza di alcune scene viene immediatamente disinnescata, e ci si ritrova addirittura a sorridere.
Il mare è rotondo non è una storia d’amore, né un racconto sulla migrazione. Nonostante le prime pagine siano ricche di eventi bizzarri, si intuisce quasi subito che la trama è solo una tela bianca su cui Malaj dipinge personalità originali, come Gjokë e Sulejman, i migliori amici di Ujkan. I due sono completamente diversi: Gjokë è serio, responsabile e veste sempre in giacca e cravatta (tranne quando si fa di cocaina, in quelle situazioni diventa «una vera testa di cazzo»), mentre Sulejman è uno scrittore sconclusionato, sempre in cerca di un modo per fare soldi.
Una delle ultime iniziative di Sulejman, in cui coinvolge Ujkan, è la compravendita di ferro vecchio. Nel 2008 l’Albania sta infatti attraversando una fase di grande sviluppo edilizio, con un conseguente aumento della richiesta di ferro. Così Sulejman e Ujkan decidono di entrare in questo business, utilizzando per il trasporto un vecchio camion appartenente all’era sovietica. Da queste premesse nasce uno dei capitoli più esilaranti del romanzo, ovvero “Liberalismo”, in cui i due amici entrano in conflitto con alcuni gabel (termine dispregiativo per “zingaro”), per aver violato quelle che secondo loro sono le regole del libero mercato («Per farla breve: primo, voi avete intrapreso un’attività […] che è di mia competenza, e l’avete fatto senza una licenza. Secondo: avete infranto le regole sui prezzi. C’è un limite – otto lek al chilo – che non si può superare, poiché altrimenti nessuno ci guadagna più niente»).
Un’altra figura ben costruita è quella di Irena, una ragazza affascinante e sfuggente, in apparenza molto decisa, ma in realtà intrappolata in una strana «infelicità senza dolore». Malaj la descrive utilizzando uno sguardo che la accarezza solo esternamente, senza indagare quasi mai i suoi pensieri. Fa eccezione il capitolo “Rrushja ime”, in cui per un istante l’autore ci lascia entrare nella testa di Irena, mostrandoci il suo animo sensibile. In queste pagine, lo stile e il tono della scrittura cambiano completamente, la narrazione si fa più dolce e malinconica.
Oltre ai personaggi, è l’atmosfera generale a dare corpo al libro. Malaj ci racconta senza filtri e senza finti moralismi un’Albania vicina nel tempo, ma che sembra lontanissima e arretrata; un Paese in cui i valori della tradizione si scontrano e si mescolano con quelli della modernità. Ci sono padri che minacciano le proprie figlie, parenti che sparano in aria col kalashnikov durante i matrimoni, venditori ambulanti che accettano caramelle invece che denaro, ragazzi che sognano di andare in Italia come se questo garantisse loro una vita migliore. Tutto è raccontato con uno stile sincero e privo di artifici, che non ricerca il pathos, ma che piuttosto trasforma le tragedie quotidiane in comicità pura. I fatti vengono narrati in maniera cruda e semplice, senza cercare di abbellirli o di ricavarne un significato profondo. Ed è proprio questa attitudine che stupisce e conquista.
L’abilità dello scrittore sta anche nel dare vita alle ambientazioni senza bisogno di descrizioni articolate. I passaggi dove questa tecnica riesce meglio sono quelli in cui le azioni dei personaggi, anche le più semplici, sono al centro della scena. Il viaggio in macchina di Ujkan e Irena, per esempio, è un insieme di piccoli gesti apparentemente insignificanti, che però rendono bene l’idea del tempo e dello spazio:
«Finito di mangiare si sdraiarono vicino alla battigia, le onde ogni tanto si allungavano a lambire i loro piedi. […] Alle due fecero un altro bagno. Con un paio di bracciate Irena raggiunse la barca che aveva preso il largo e disse qualcosa al pescatore, che tese la mano e la issò a bordo; il suo corpo si stagliò per un attimo nell’azzurro del cielo per poi scomparire. Ripeté il tuffo un paio di volte».
Come ha dichiarato l’autore in alcune occasioni, Il mare è rotondo è figlio di diversi stimoli, ma è facile ritrovare nel romanzo le storie già raccontate in Dal tuo terrazzo si vede casa mia, che era valso a Elvis Malaj la candidatura al Premio Strega nel 2018. All’interno di questa raccolta di racconti, ritroviamo molti elementi che sono poi confluiti nel romanzo. Il personaggio di Irena, per esempio, era già presente nel racconto “Mrika”, che è diventato poi il nucleo del capitolo “Me lo fai un sorriso”. Lo stesso discorso vale per “L’uomo con la cravatta a fiori”, che rielabora l’omonimo racconto inserito nel primo lavoro di Malaj.
Se vi sforzerete di trovare un senso, un significato profondo alle vicende narrate in questo libro, probabilmente vi ritroverete miseramente sconfitti, a lettura terminata. Non per questo però vi sentirete delusi. Dalla penna originale di Elvis Malaj viene infatti fuori un romanzo breve da leggere tutto d’un fiato, senza farsi troppe domande, in cui la vita di un gruppo di «idioti qualunque» diventa letteratura.
Ariete ascendente cancro, nasce a Roma in una giornata d’aprile. Ama i film di Woody Allen e i libri di Murakami, si incanta spesso a fissare il cielo. Ha un gatto di nome Dustin Hoffman che le fa compagnia nelle giornate pigre.