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Da Adventure Time a The Midnight Gospel: la magia di Pendleton Ward

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Per chi ha familiarità con il mondo dell’animazione, il nome Pendleton Ward non risulterà assolutamente sconosciuto. Geniale creatore della serie Adventure Time, il 20 aprile è uscita su Netflix la sua nuova opera The Midnight Gospel

Una piccola premessa: nelle opere di Ward vediamo confluire generi come la fantascienza, il fantasy, l’horror, il surreale, uniti a quelli della fiaba e del gioco di ruolo (Dungeons and Dragons su tutti). Una miscela in cui ogni dose è attentamente calibrata, facendo sì che la serie non diventi mai una semplice accozzaglia di elementi, ma che questi si fondano dando vita a un equilibrio sempre originale.

Mi sembra d’obbligo quindi cominciare a parlare di Adventure Time, l’opera più celebre. Qui Pendleton Ward rende il primo contatto con la serie assolutamente spaesante per chi la guarda. Troviamo un ragazzo della prima adolescenza, Finn, e il suo compagno, Jake, un cane magico capace di parlare e di mutare il proprio corpo a suo piacimento, che nel corso delle puntate si troveranno invischiati nelle avventure più folli. Facciamo la conoscenza di personaggi dalle sembianze sicuramente bizzarre all’interno di un mondo che sembra non avere nessuna omogeneità. Lo spettatore, a una prima visione, si sente ineluttabilmente perso, incapace di trovare punti di riferimento.

Ogni uomo, quando incontra qualcosa di nuovo, di diverso, cerca di far lavorare la ragione per cercare di dare un’unità a ciò che vede, all’incosciente ricerca di una classificazione. Nella mente di Pendleton Ward, però, l’approccio da avere con Adventure Time, e The Midnight Gospel più avanti, non deve essere quello dell’uomo razionale, dello scienziato, ma forse, più propriamente, quello del vecchio saggio, che si lascia trasportare dagli avvenimenti analizzandoli individualmente nelle loro piccole parti. In Adventure Time, andando avanti con gli episodi e le stagioni, un sintomo di unità si va formando e scopriamo di più sul passato dei personaggi, e quello che solo all’apparenza sembrava un semplice cartone per bambini si rivela una serie molto più profonda e sotto certi aspetti più macabra.

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La terra di Ooo, l’ambientazione centrale delle avventure di Finn e Jake, ben presto si scopre essere il prodotto di un olocausto nucleare, “La Guerra dei Funghi” come viene chiamata, che ha spazzato via una grossa porzione del pianeta, facendo ritornare la magia sulla terra, magia che, infatti, sembra più il frutto di pesanti radiazioni, che spiegherebbero anche l’aspetto grottesco di molti personaggi. I protagonisti suscitano nello spettatore una sensazione di meraviglia mista a disagio latente, perché sembrano non avere coscienza della storia del mondo che li circonda, del suo passato così disastroso. Gli eventi della guerra in apparenza hanno lasciato unicamente evidenti tracce esterne, ma in realtà ne hanno seminate di appena percettibili e ben nascoste anche nella psiche dei personaggi.

Lungi dall’essere una wasteland pervasa dal cinismo e dalla perdita di fede nell’umanità, la terra di Ooo è un luogo colorato, esotico e penetrato spesso da un forte tono umoristico. Sotto questa patina così luccicante si nasconde, però, un segreto che non può essere rivelato se non per piccoli frammenti, ma che lo spettatore, conscio del proprio presente, fatto di malattie, guerre e povertà, non può fare a meno di subodorare. Se Finn, l’umano, guarda con gli occhi del fanciullo e dell’intrepido avventuriero molte delle situazioni che si trova ad affrontare, noi sappiamo che sotto quei toni magici e fiabeschi si celano le rovine di un altro mondo, le cui vestigia sono spesso misconosciute dai protagonisti della serie.

Molte tematiche si rifanno al genere, a metà tra fantascienza e fantasy, della “Terra morente”, che trova il suo massimo esponente in Jack Vance, autore della saga omonima. Le vicende sono ambientate in un futuro lontanissimo, decadente, dai toni spesso medievaleggianti, in cui la scienza è divenuta talmente avanzata da diventare, per noi, magia, una magia che, a detta dei personaggi, non ha nulla a che vedere con i fasti del suo passato, un passato per noi futuro, perciò sconosciuto. Nei libri di Vance il mondo come lo conosciamo non ha lasciato tracce; la luna non esiste più e il sole si è trasformato in una gigante rossa pronta a spegnersi condannando alla distruzione le ormai poche vite superstiti sulla Terra. Gli uomini e le donne della Terra morente sono coscienti del loro presente, del fatto che questo presente potrebbe scomparire da un momento all’altro, ma incoscienti del proprio passato, essendo nati in un mondo che questo passato sembra averlo completamente soggiogato.

Questa sensazione strisciante, questa coscienza che si annida sottopelle, è la stessa che ritroviamo nella serie di Pendleton Ward ed è ciò che ingigantisce il senso di meraviglia che la fa da protagonista: si vede Adventure Time non solo per le stravaganti avventure dei personaggi, per la direzione artistica immensa ed originale,  ma soprattutto per cercare ulteriori risposte agli enigmi del nostro tempo. Le risposte che si manifestano, però, hanno spesso unicamente la forma di supposizioni.

Numerosi personaggi sono re e regine di un dato elemento, che oltre a rappresentare ideali e ossessioni, sono anche il simbolo di un’umanità che un tempo, in virtù di un sentimento di superiorità nei confronti della natura, tentava di piegarla al proprio volere, causando cataclismi e altre catastrofi. Pendleton Ward, invece, glorifica questi elementi, rendendoli regnanti (il Re Ghiaccio, il Re del Fuoco), principi e principesse: è l’uomo ora che deve sottostare al loro volere. Questa spiegazione presenta un paradosso dal momento che questi regnanti controllano il proprio elemento, ne sono padroni, ma al tempo stesso ciò che controllano li ha corrotti. Tale simbologia presenta un dualismo antitetico che si può spiegare unicamente con il fatto che l’uomo, per controllare la natura, deve lasciarsi corrompere da essa, creando un rapporto simbiotico, alle volte malsano. Da una parte abbiamo quindi la natura personificata, dall’altra la persona che ne è stata corrotta, con i propri sentimenti e la propria indole. Una rivincita e una condanna allo stesso tempo, poiché ci rendiamo conto che l’uomo non ha perso del tutto le sue manie di grandezza, che si possono manifestare solo soggiogando l’unica cosa che c’è di più grande: il mondo che ci circonda.

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Passiamo ora a The Midnight Gospel. Lo stile rimane lo stesso, ma i toni e le tematiche cambiano. La serie non è altro che un’animazione di spezzoni tratti dal podcast di Duncan Trussel, The Duncan Trussel Family Hour, con l’aggiunta ovviamente di alcuni scambi originali. Il podcast è strutturato come un’intervista, che prende spesso i toni di una chiacchierata tra amici, con personaggi provenienti dagli ambiti più disparati. Tra quelli che compaiono negli show possiamo trovare Drew Pinsky, medico che studia gli effetti della dipendenza da sostanze stupefacenti, la scrittrice Anne Lamott e persino Damien Echols, uno dei membri dei The West Memphis Three, tre ragazzi che nel 1993 furono ingiustamente incarcerati per l’omicidio di tre bambini di otto anni. Il caso fece scalpore, non solo per l’efferatezza del crimine, ma anche per la vicenda processuale. Nuove prove che discolpavano i tre furono portate alla luce e i ragazzi vennero scagionati nel 2011 dopo diciotto anni in prigione.

Già dal tipo di puntate che sono state scelte per essere animate capiamo come il linguaggio cambi, sia più adulto – da non confondere con “più maturo” – e sicuramente le tematiche, presentate in maniera più diretta, accompagnate da frasi altrettanto schiette e spesso arricchite da coloriti intercalari, costituiscano qualcosa di nuovo rispetto alla sintassi di Adventure Time, adulta sì, ma caratterizzata da quel registro “innocente” che serviva a trarre in inganno lo spettatore.

Non esiste una vera e propria trama, ma semplicemente un incipit: Clancy Gilroy è uno spacecaster, un coltivatore di mondi, ai quali può accedere tramite un avanzato simulatore, e conduce una serie di podcast in cui riporta le interviste e gli eventi da lui vissuti durante i viaggi intradimensionali.

Il surrealismo è il fulcro centrale delle ambientazioni, un surrealismo ancora più marcato rispetto a quello trovato in Adventure Time, in cui Clancy si muove alla ricerca di nuove interviste da pubblicare nel podcast. Mondi popolati da un’epidemia di zombi, altri in cui le architetture sembrano nascere e morire sul momento, altri ancora dove le geometrie sembrano combattere con le leggi stesse che le hanno originate. Su ognuno di questi mondi il protagonista entra in contatto con un personaggio, i cui ideali rispecchiano totalmente quelli delle persone del podcast, assumendo quasi la funzione di avatar di questi ultimi, il quale si lascerà intervistare, portando avanti la propria tesi su un determinato argomento.

Se in Adventure Time esisteva una sorta di sostrato capace di uniformare tutti gli eventi bizzarri vissuti da Finn e Jake, qui l’unico collante è costituito dal buddismo. In queste interviste, che prendono subito la forma di un dialogo filosofico, di un confronto tra allievo e maestro, chi parla espone la sua visione del mondo. Tutti questi elementi vengono usati dagli intervistati per spiegare il loro modo di vivere, le loro scelte di vita, il loro modo di pensare, dando allo spettatore diversi punti di vista su domande dal carattere universale.

Un lavoro importante, centrale, lo svolgono le immagini di fondo, che fluiscono insieme alle parole. I mondi disegnati da Pendleton Ward e il suo team sembrano usciti da un sogno, e alcune volte queste scene rispecchiano le frasi che vengono pronunciate in quel momento dai protagonisti, facendo in modo che il senso della frase stessa venga capito più a fondo. I dialoghi sono spesso ostici, si parla di dogmi antichi, sconosciuti a un uomo occidentale, e le scene sullo sfondo hanno il compito di dare una dimostrazione pratica, di renderne più semplice l’interpretazione.

Con questa serie Pendleton Ward riesce a fare ciò che aveva iniziato con Adventure Time: abbattere i classici stilemi narrativi, le unità di luogo e di tempo, per rendere l’idea che gli argomenti trattati siano di valenza universale, distaccati da qualsiasi legge umana. L’abbattimento di tali categorie riporta alla mente l’idea di sceneggiatura propria di Jean Giraud, in arte Moebius, uno dei più grandi fumettisti del novecento, co-fondatore della rivista francese a tema fantasy e sci-fi Metal Hurlant e disegnatore della serie L’Incal, scritta dal regista e scrittore cileno Alejandro Jodorowsky. Riguardo la sceneggiatura Moebius diceva: “Si può benissimo immaginare una storia a forma d’elefante, di campo di grano o di fiammella di cerino…”. La storia non aveva una forma unica, lineare, ma al contrario poteva assumere qualsiasi forma. Da qui l’origine delle sue storie bizzarre e dei personaggi enigmatici, accompagnati da disegni visionari, dal tratto morbido e ricco di dettagli.

Pendleton Ward abbraccia in pieno la tesi per cui non è la creatività a stare al servizio della storia, ma la storia a essere serva della creatività.