brooklyn 99 marvin

Elogio a Brooklyn Nine-Nine

8 min. di lettura
Sebbene la serie non sia (incomprensibilmente) molto conosciuta in Italia, gli spoiler presenti nel pezzo sono entrati in prescrizione da anni. [N.d.R.]

Qual è una scena che avrebbe voluto scrivere?

Sudo freddo. Il cuore rimbomba come il mio pezzo preferito, A New Error dei Moderat, e in un secondo penso

– che non avrei mai dovuto bere tre caffè prima del colloquio
– che come sceneggiatrice mi sarei dovuta aspettare una domanda del genere
– che come essere umano mi sarei dovuta porre una domanda del genere

Le scene che amo mi sfilano davanti come il catalogo Netflix quando sono alla disperata ricerca di qualcosa di decente che non abbia già visto. Non riesco a fermarmi su una schermata finché —

Ecco, quella.  Dice il produttore. Quella per cui hai sorriso.

Alzo gli occhi dal tavolo di vetro. Il suo ufficio mi appare ancora più luminoso di prima. Le pareti sono di un bianco accecante, spezzato solo dalle sagome dei tre poster appesi sopra di lui: Manhattan, Io e Annie, Match Point. Potrei mentire. Potrei trovare una scena (sentimentale, drammatica) più simile al progetto (sentimentale, drammatico) per cui spero che mi assuma o potrei facilmente citare un pezzo di Woody Allen, per conquistarmi la sua complicità. Invece prendo il cellulare, cerco il video e glielo mostro, non senza aver prima mormorato un Le sembrerà assurdo.

Caro lettore /cara lettrice, qui il link per andare di pari passo. Ti aspetto.

Ben tornato/a. Spero che il minuto che hai appena visto ti abbia fatto salire un’immediata voglia di guardare la serie da cui è tratto e che, quindi, il resto dell’articolo sia quasi inutile. Ma spero anche che continuerai a leggere.

Insomma, io sto lì a ragionare sul fatto che mi sto giocando ogni tipo di credibilità, mentre la bocca del produttore si apre prima in un sorriso e poi, alla fine, in una sonora risata.

Geniale, commenta alla fine e io non posso che annuire. Lo è: demenzialmente geniale, come tutta Brooklyn Nine-Nine.

Nata nel 2013 dalle menti di Michael Schur, ideatore di Parks and Recreation e The Good Place (anch’essi gioiellini comici che raccomando caldamente) e Dan Goor (The Office, e ho detto tutto), la serie, premiata nel 2014 con due Golden Globes, racconta le vicende di un distretto di polizia di New York, appunto il Novantanovesimo – che dovrei dirvi non esistere ma mi rifiuto categoricamente di ammetterlo, in primis a me stessa – dove lavorano:

●  L’irresistibile protagonista (nonché uno dei produttori della serie), il detective Jake Peralta, (Adam Samberg, talento della comicità e della parodia musicale). Immaturo e irresponsabile quanto intuitivo ed efficace, è innamoratissimo del suo lavoro e lo vive come tutti vorremmo vivere il nostro: in maniera infantile, divertita e appassionata (alla Die Hard). Fin dalla prima scena, il suo umorismo è il cardine della serie.

brooklyn99

●  L’adorabile detective Charles Boyle (Joe Lo Truglio), il migliore amico di Jake, al quale è affezionato in maniera morbosa. Dipendente dall’amore, è alla perenne ricerca dell’anima gemella. Ha un palato estremamente sensibile e gusti “particolari” in fatto di… tutto. Incredibilmente ottimista, al punto di perdere l’obiettività, si trova spesso in situazioni paradossali, ed è forse il primo detective capace di farsi rubare la scena da un cavallo durante una premiazione. Queste caratteristiche lo rendono il bersaglio preferito degli scherzi dell’intero distretto. Nonostante ciò, gli vogliono tutti un gran bene. È l’amico bizzarro che chiunque vorrebbe avere: quello che, per salvarci, si prenderebbe una pallottola nel sedere.

●  La detective Amy Santiago (Melissa Fumero), paladina della grammatica, appassionata di raccoglitori, regole e burocrazia, spende gran parte delle prime stagioni alla costante ricerca dell’approvazione del Capitano. Sebbene abbia tutte le caratteristiche del personaggio scritto per essere odiato, Amy rompe lo stereotipo dell’insopportabile so-tutto-io, regalandoci un personaggio completo e complesso, motore di totale ilarità quando: a) entra in competizione, perdendo tutti i freni inibitori; b) beve e c) si sforza di assumere un comportamento “rilassato”.

●  La tagliente Gina Linetti (Chelsea Peretti), assistente di Holt. Fra i personaggi più riusciti, incarna il ritratto della società contemporanea: fiera della sua anima mainstream, Gina è imprevedibile e, in maniera del tutto inaspettata, spesso essenziale per la salvezza del distretto. È la dimostrazione fictionesca di come chiunque possa essere, nel suo piccolo, una quotidiana Beyoncè (= una Queen).

●  La temibile detective Rosa Diaz (aka la sorella sfigata di Gloria in Modern Family, Stephanie Beatriz), grugno perenne, giacca di pelle e maniere forti, è l’incubo di chiunque incroci la sua strada nel momento sbagliato. È indipendente, gelosissima della sua privacy e dei suoi sentimenti, ma questo non le impedisce di essere una sincera alleata.

●  L’esemplare Capitano, Raymond Holt (Andre Braugher), è il ritratto della serietà. Intransigente, nero, gay (lontano da ogni stereotipo), amante della musica classica, sul viso sempre la stessa, imperscrutabile, espressione. Tutto ciò lo rende l’esilarante protagonista di uno humour inaspettato. Una volta che lo ami, è per la vita. E non amarlo è impossibile.

●  Il tenero Sergente Terry Jeffords (Terry Crews) è la colonna portante del distretto insieme al Capitano Holt. La sua forza sta nel contrasto tra la rocciosa apparenza e l’animo gentile: Terry, padre modello fuori e “dentro” il distretto, è infatti un ammasso di muscoli con il cuore morbido come gli yogurt di cui va pazzo.

●  I simbiotici detective Hitchcock e Scully (Dirk Blocker e Joel McKinnon) compongono un’unica entità vorace, pigra e tonta, ma dal passato glorioso alla Starsky e Hutch. Nel tempo evolvono meno degli altri, ma rimangono sempre una fonte inesauribile di comicità.

Come nella migliore utopia, scegliere un personaggio preferito è pressoché impossibile, e più andrete avanti maggiore sarà la difficoltà. I caratteri – anche quelli sporadici, come il criminale Doug Judy o la Nemesi di Holt, Madeline Wuntch – sono ben scritti: incarnano e ribaltano cliché, armonizzano bene tra loro, insegnano sempre qualcosa e soprattutto, cosa non scontata per una comedy, evolvono. Caso dopo caso, la serie stupisce per la qualità dei suoi personaggi, che fanno a pezzi ed esasperano i prototipi del genere poliziesco. Le puntate, stracolme di brillante citazionismo, sanno differenziarsi molto una dall’altra, costruendo un intrattenimento raffinato e originale che con l’episodio stagionale di Halloween raggiunge la vetta più alta. Infatti, nella sfida che vedrà la nomina di uno dei personaggi a Miglior Detective/Genio, il numero e la portata delle rivelazioni, stratagemma-canone dell’heist movie crescono esponenzialmente.

hallooween episode marvin

Ma il divertimento della serie non è sempre fine a se stesso: a far compagnia alle morali dolci, sempre presenti e tipiche della comedy, non mancano temi più scottanti, trattati con delicatezza e disinvoltura, senza ipocrisia o buonismo, come il razzismo e le difficoltà della comunità LGBTQ+.

Sono entrata nel Novantanovesimo distretto anni fa, in un periodo grigio. Ci ho messo un po’ per ambientarmi (abbiate fede, non arrendetevi alle prime puntate), ma avevo bisogno di reimparare a ridere e Brooklyn Nine-Nine mi ha ricordato come farlo. Con il  tempo ha conquistato il mio affetto diventando, come il Central Perk (Friends) o l’appartamento di Phil e Claire (Modern Family), un luogo sicuro. Un nascondiglio dalla stanchezza quotidiana e dal logorio del cervello.

Negli anni la serie ha tenuto botta con un lieve appassimento verso la metà, ma niente che abbia impedito di aspettare il suo ritorno con impazienza. E, forse grazie alla nuova rinascita sotto il segno di NBC, le puntate in corso sono brillanti come le prime. Già, perché FOX – network originale di Brooklyn Nine-Nine – nel 2018 ha deciso di sopprimerla, gettando l’esercito di seguaci della serie, tra cui la sottoscritta, in un profondo sconforto. Fortunatamente la rivolta dei fan, che si avvaleva di voci potenti come quella di Guillermo del Toro e Mark Hamill, si è fatta sentire e il giorno dopo NBC ha comunicato di aver rilevato la serie per continuarla e, lo dico a posteriori, riportarla al suo originario splendore.

Concludo con il motivo che mi ha portato a scrivere questo articolo proprio adesso: se avete bisogno di un rifugio dai malumori della quarantena (e chi non ne ha?) questa è la pausa che fa per voi. Accendete Netflix (dove trovate le prime 5 stagioni) e somministratevi (almeno) una puntata a pranzo e una dopo cena: vi allevieranno la perenne sensazione di noia e claustrofobia di questa assurda situazione.

Inoltre, quante volte vi ricapiterà di poter dire: sto guardando la serie preferita del Dalai Lama?