«Come la vite si sposa all’olmo,
così fece Decluna
che scelse l’olmo come compagno
per preservare sé stessa e la sua fede».
Cos’è Decluna? Questa la domanda che accompagna tutta la lettura del romanzo di Federica Leonardi, pubblicato a ottobre da Moscabianca Edizioni. La risposta non sarà semplice, non sarà una sola.
Sospesa in un luogo e in un tempo indefinito, Alba è una giovane donna che conduce una vita instabile. Il mare agitato della sua esistenza viene scosso irreversibilmente da un enorme masso in caduta libera, pronto a modificarne per sempre le coordinate: una telefonata che annuncia la morte di sua madre, Camilla. La notizia cambia le carte in tavola, spacca il romanzo in due, apre le porte al weird.
È proprio con la partenza alla volta di Decluna, luogo che ha ospitato la madre negli ultimi anni di vita, che Alba dice addio, e noi con lei, al mondo comune e alle sue regole. Il romanzo si trasforma, cambia volto e mostra progressivamente la sua vera natura. Prima della spaccatura ci troviamo di fronte a una narrazione lineare, il confine è però labile e pagina dopo pagina ecco accendersi tonalità fantasy, dark, quasi-horror.
La cerniera che unisce i generi e amalgama alla perfezione la trama è la sempre crescente presenza-assenza di una madre di cui Alba non ricorda quasi nulla, che l’ha abbandonata quando era solo una bambina, ma che si rivela ingombrante solo dopo la sua definitiva scomparsa.
Ognuno dei piccoli capitoli che costruiscono l’architettura di Decluna è introdotto dai frammenti di una lettera, non meglio identificata fino all’ultima pagina del libro, che si snoda con lo stesso ritmo della trama e, partendo da lontano, si avvicina alla linea temporale della storia, fino a venirne assorbita e a diventarne, alla fine, tutt’uno. I binari della doppia narrazione arrivano a coincidere a tal punto da non riuscire a distinguere se sia la lettera a introdurre gli avvenimenti o se questi ultimi fungano da corredo e spiegazione all’epistola stessa.
«Alba.
Mi sarebbe piaciuto aprire questa lettera con un “Cara Alba” o “Cara figlia mia”, ma poi avresti continuato a leggere?
In fondo, non c’è mai stato niente di “caro” tra di noi. Nessun abbraccio, nessuna carezza, nessuna consolazione. Le tue lacrime erano solo le tue, non arrivavano neppure a inumidirmi le dita.
Per questo, alla fine, me ne sono andata. L’ho fatto per proteggerti. Suonerà disumano, ma è la verità».
Così recita l’incipit, e le parole di Camilla resteranno incomprensibili per molto tempo, srotolandosi per l’intera trama, contribuendo a dare forma al surreale mondo di Decluna.
Per buona parte della sua vita, grazie all’assenza della madre, Alba è riuscita a tenere a bada le ombre e le distorsioni legate a Camilla, creando un equilibrio particolare, spesso precario e incomprensibile che si traduce in un disappunto quotidiano. Ma è quando la vita di una persona trova il suo misterioso epilogo che si può cominciare a parlarne, a tentare una narrazione possibile (o impossibile). Con la morte di Camilla può avere inizio l’apertura del vaso di pandora della sua esistenza. Federica Leonardi riesce nell’intento di tratteggiare una protagonista che è fuori dalla trama, la cui storia è precedente alla storia stessa. È forse Camilla il vero personaggio principale di Decluna?
Prima della fatidica telefonata, Alba era ancorata in un tempo in cui le tempeste erano lontane e i fantasmi della madre ben chiusi a chiave nel cassetto dei ricordi dimenticati, ma pronti a risaltare fuori allo squillo del telefono. L’odio nei confronti di un genitore conosciuto solo nei primi anni di vita si trasforma in curiosità, in desiderio e speranza di trovare a Decluna una spiegazione logica, razionale, comprensibile dei gesti di Camilla. Un’esigenza, questa, che verrà soddisfatta solo in parte: le risposte che Decluna sarà disposta a fornire saranno tutto fuorché razionali e comprensibili, sicuramente sorprendenti. L’odio di Alba muterà in compassione prima, poi in indifferenza, distacco, epochè nei confronti di Camilla – delle sue azioni come della sua vita – ma mai in amore.
Alba giunge quindi a Decluna, lo strano villaggio che nasconde l’enigma di sua madre, che sa di lei più di quanto non ricordi sua figlia. La realtà rurale del posto, incastonato in un tempo fuori dal tempo stesso, nasconde segreti e misteri sulla sua storia e su quella di Camilla, che sembrano legate indissolubilmente.
La grande attenzione degli abitanti nei suoi confronti, un vecchio libro, il bosco, un olmo, un cinghiale, Camilla: Alba cerca invano di unire i puntini, di collegare tra loro gli elementi più disparati, ma senza trovare mai una soluzione.
La festa in onore della Santa omonima della città non lascia dubbi. Alba è catapultata in un mondo in cui naturale e soprannaturale si intrecciano di continuo, confondendosi a vicenda in un realismo magico. Prima curiosità, poi incredulità e infine spavento: l’altalena delle emozioni segue sempre questo ritmo.
La domanda non è più cos’è Decluna – a questa si è data una risposta – ma diventa chi è Decluna?
Più scorrono le pagine e più cresce la confusione, in Alba e in noi. La realtà di Decluna è inaspettatamente intrisa di riti pagani, di tribolazioni e sacrifici in onore della divinità. Nella cornice di un delirio mistico che coglie tutti i partecipanti alle celebrazioni della Santa, e Alba con loro, viene fatta luce sulle tetre tradizioni del luogo e sui segreti di Camilla. Tutto rimane avvolto dal mistero, come se mancasse sempre l’ultimo pezzo del puzzle per ricostruire e ricollegare con certezza le varie facce di Decluna, ma tant’è.
«Giunta al parossismo, quella cacofonia orgiastica cominciò a vacillare, si incrinò e infine si infranse, scoppiando come una bolla di cristallo in tante minuscole note che si dispersero nell’aria, spazzate via dal battito assillante dei tamburi».
Federica Leonardi riesce a costruire un mondo soprannaturale che convive con quello normale, che ci cammina a braccetto ma tenta continuamente di risucchiarlo, trovando il suo apice nelle feste esoteriche e nelle folli litanie in onore di una divinità scandalosa. Alba è unica portavoce e ultimo baluardo di realtà concreta a Decluna e prova con tutta la tenacia possibile a far prevalere la sua naturale propensione alla razionalità. Ma il fervore di Decluna è tale che la protagonista scoprirà ben presto di lottare contro un inevitabile delirio.
Il passato diventa lontanissimo, il presente assume sempre più i tratti dell’incubo, e il futuro è inimmaginabile. Se Alba ne uscirà ci si domanderà come.
«Questa terra ti chiama, il suo è un richiamo così forte da straziare. Se ne sta qui annidato dentro il petto, questo legame che non puoi infrangere».
Se dovessimo immaginare di dividere gli scrittori di romanzi in due macrocategorie, potremmo fare così. Da un lato coloro che costruiscono le parole, le inventano e le modellano e questo loro talento condiziona la cifra della loro letteratura; ovunque vada, la loro trama viaggia sui binari di un linguaggio potente, più potente di sé stessa. Dall’altro, di contro, ci sarebbero allora coloro che fanno della loro storia l’elemento fondante, il tratto distintivo, che con il linguaggio asciutto che li caratterizza riescono a regalare un viaggio che sembra quasi assumere i tratti di un’esperienza diretta, come vissuta in prima persona. Decluna è questo, è un viaggio diretto.
Nasce a Napoli e studia a Bologna. Adesso vive a Roma nella precarietà della vita da giovane insegnante. Spesso con la testa tra le nuvole grazie al segno dell’Acquario, con la laurea in filosofia ha definitivamente perso il senno.