Guardare questa serie durante la quarantena è stata una scelta azzeccata. Probabilmente, anzi con certezza, l’avrei apprezzata anche in altri momenti, ma ne avrei forse sottovalutato l’effetto lenitivo avendo, per fortuna, ben poco da lenire. Conclusi due mesi di reclusione, trovare un rimedio altrettanto efficace del mio cuscino per la cervicale e del bicchiere di vino a fine giornata è stato inaspettato.
High Maintenance è una serie HBO, ideata da Ben Sinclair (che ne è anche il protagonista) e Katja Blichfeld, prima di diventare, rispettivamente, ex marito ed ex moglie, ed è l’estensione di un progetto low-budget distribuito su Vimeo tra il 2012 e il 2015. High Maintenance è un’antologia di storie: racconta le vite di diversi abitanti di New York, acquirenti abituali di erba dal barbuto spacciatore, l’anonimo The Guy, collante dell’intera serie. In questa frase, che si attribuisce la funzione di sinossi e descrizione, si concentrano due dei percorsi più battuti negli ultimi tempi dalla produzione televisiva americana: la città di New York e le storie corali.
Le emittenti statunitensi da più di un decennio ci hanno allenati a inseguire le vite dei cittadini della sua metropoli più eclettica e celebre. Infatti, di New Yorker che mostrano la città raccontandosi ne abbiamo (stra)piena la memoria, dai monologhi di Sex and the City ai drammi indipendenti di Girls, per elencarne due passate e intramontabili. New York funziona perché racchiude nei suoi 783,8 km2 albori e sviluppi di fenomeni sociali simbolo di intere generazioni (come la nascita e la diffusione della pop art negli anni ’60 o l’epidemia di AIDS negli anni ’80), così come la possibilità di incontrare un’attempata signora vestita di rosa con la sua band di pupazzi canini. È un palcoscenico elastico: niente sembra fuori luogo, tutto appare plausibile.
Dall’altra parte, di esempi di serie tv con un impianto corale-antologico ne potremmo trovare diversi, per densità di personaggi e riuscita: fra le più celebri dell’ultimo periodo la disinibita Easy e la più hollywoodiana e un po’ affettata Modern Love. Il format è semplice e permette di raccontare moltissimo, senza rischiare di creare personaggi incoerenti, riempiendo scene di camei e ottenendo un alto effetto intrattenente.
High Maintenance è esattamente entrambe le cose: un buonissimo prodotto corale che parla di New York e dei suoi abitanti. Una copia carbone della realtà contemporanea, con le sue curve e i suoi angoli asimmetrici fatti di gentrificazione massiva e classi borghesi timorose di essere troppo borghesi. E quindi, perché siamo qui a parlarne? High Maintenance andrebbe vista non (solo) per ciò che racconta, ma per il modo con cui lo fa.
La varietà dei personaggi che si alternano sullo schermo rende difficile discutere dei consoni temi trattati. Pistola alla testa, forse riuscirei a tirarne fuori due: la solitudine e le relazioni, quindi, in qualche modo, tutto. I rapporti e l’assenza di essi, il loro inevitabile alternarsi, la loro capacità di logorare o rafforzare l’essere umano in ogni area della sua esistenza. I clienti di The Guy mostrano la sfrontatezza di queste relazioni nel rivelare, spesso senza richiesta o preavviso, un’immagine di sé tanto reale a volte quanto deformata altre. Gli episodi, tendenzialmente bipartiti, presentano allo spettatore due nuclei, che da angolazioni diverse, opposte o quasi analoghe, semplicemente si trovano a confrontarsi con la propria famiglia, con l’invecchiamento, la morte o le loro idiosincratiche mancanze. Queste storie avrebbero potuto essere raccontate in modi diversi, avrebbero potuto aprirsi con grossi caratteri senza grazie dal nero violento, avrebbero potuto saltare da una scena all’altra spinte da improvvisi silenzi, e anche in quel modo avrebbero avuto un loro valore, ma nell’indole di High Maintenance tutto questo manca, ed è necessario che sia così.
Le visioni oniriche e lisergiche nei titoli di coda sono la chiusa perfetta di 30 minuti in cui i movimenti della camera e il passaggio da un protagonista all’altro hanno il rumore dell’esplosione di una bolla di sapone. Lo scopo della serie non è solo raccontare la realtà, ma mostrarla senza farne sentire l’urto, non far patire l’impatto delle sofferenze e dell’indifferenza, ovattare la collisione dei cambiamenti sociali, silenziare l’attrito dei mutamenti del privato. High Maintenance non lo fa per mancanza di profondità: al contrario, il dono di alleggerire è ciò che la rende una serie diversa.
Pur non essendo una serie comica, High Maintenance si atteggia bonariamente a tale, la sua ironia è spesso un po’ quirky, ma coerente con la natura e lo scopo: quando gli argomenti sembrano condensarsi troppo, quando il peso della realtà si accascia sul petto dello spettatore, in quel momento, all’acme della tensione, come nella più celebre comicità, una scoreggia viene liberata a distendere il turbamento accumulato, dimostrando come non c’è miglior scusa per un fart-joke della catarsi.
The Guy è una pallina da flipper, la sua storia rimane sullo sfondo per quasi tutto il tempo, ma è in qualche modo una personificazione del potere stesso della serie: le sue reazioni a situazioni fuori dalla norma e paradossali (servire un cliente nudista, ignorandone i genitali) o tragiche (il dialogo con una vecchia amica nella clinica in cui il figlio, poco più che neonato, è stato sottoposto a chemioterapia) hanno toni tranquilli e sereni, e costituiscono una rappresentazione dell’umanità che tendiamo a dimenticare, o a convincerci che non esista. I conflitti attorno a cui ruotano le storie hanno i volti di personaggi che – quasi sempre – occupano lo spazio di un singolo episodio e sono affrontati e sciolti senza cadere nei dirupi classici della dramedy. Lo spettatore all’inizio potrebbe restarne spiazzato, e forse dovrà attendere almeno la fine della prima stagione per trovare una posizione comoda fra i suoi soffici cuscini, ma ne varrà la pena.
Arrivata alla fine di questo pezzo ho realizzato di aver parlato quasi per nulla del ruolo della droga, sebbene sia una serie che ha come protagonista uno spacciatore: non l’ho fatto in maniera volontaria, o meglio, ne avrei parlato se fosse stato necessario, ma giunta fin qui, direi che per descrivervi ciò che volevo l’erba avrebbe potuto essere sostituita con del cioccolato dagli alti poteri distensivi. So bene che la similitudine conclusiva più semplice a questo punto, dopo aver descritto gli effetti rilassanti della serie, è quella a cui tutti voi state pensando, e per questo vi confermo che High Maintenance ha avuto per me, l’effetto di un buono e profumato… tè.
Libera professionista dall’identità confusa. Marvin è il primo progetto sopravvissuto al mostro della procrastinazione che difende l’uscita del suo cervello. Ha la speranza che si indebolirà con l’età, ma non può giurarlo.